Sofia Goggia non ha paura di esprimere le proprie opinioni, nemmeno quando si tratta di parlare del personaggio più intoccabile del momento: Jannik Sinner. Dopo il no alla cerimonia al Quirinale del numero uno al mondo, in un'intervista a Repubblica, si era espressa così: “Io ci sarei andata perché il presidente della Repubblica è la più alta carica dello Stato”. Tanto era bastato per far esplodere il web, che ha letto le sue parole come un attacco al tennista. Anche se chi conosce davvero Sofia sa che la sua era probabilmente un’opinione personale, figlia del suo senso di appartenenza alle istituzioni; infatti, come lei stessa ha ricordato, fa parte della Guardia di Finanza. “L’invito è un motivo di orgoglio immenso e, per come vivo io, non è lontanamente concepibile pensare a un rifiuto”, aveva spiegato. Perché ne stiamo parlando di nuovo? Perché la Goggia è tornata sull’argomento e lo ha fatto tramite le pagine di Tuttosport. Quando il giornalista le fa notare che “l’Italia è tutta di Sinner e per Sinner”, lei risponde che “mi ha colpito sentirlo dire dopo aver rivinto lo Slam in Australia che il dolore per le sconfitte è più grande della gioia per le vittorie. Mi domando: perché parla di sconfitte lui che vince sempre? Scherzi a parte, ho vissuto la stessa cosa, ma dopo questo ultimo periodo molto duro ho acquisito una serenità che mi accompagna anche nella sconfitta. Che poi sconfitta tra virgolette. In una gara non andata bene. Ci riuscirà anche lui”.
L’Italia però non ha gradito il no all’invito di Mattarella. E infatti lei ribadisce che “io ci sarei andata in calesse. Jannik mi piace molto e capisco il no a Sanremo, ma a un invito del Quirinale per celebrare il tuo sport con i tuoi compagni di squadra si dice presente. Ad ogni modo non so quali siano le motivazioni per cui abbia dovuto rinunciare; quindi, non mi metto in una posizione giudicante. E dico di più: al prossimo Slam tutti se ne saranno dimenticati. Come il no alle Olimpiadi. E vedrete che a Los Angeles 2028 ci sarà: è prima degli US Open, sul cemento. Gli servirà”. Poi una riflessione sull’essere numeri uno, ognuno nel proprio sport: “Il problema è culturale. Vittorie e sconfitte sono gli antipodi di un percorso sportivo che tutti gli atleti di alto livello devono affrontare e quindi devono imparare a gestirle. Non te lo insegnano. Il problema è che la struttura e la cultura dello sport italiano, ancora oggi molto dilettantistico, e per molti versi meno male che sia così, penso al volontariato per esempio, è un po’ retrograda. Negli Stati Uniti il percorso di un atleta è educato e costruito fin dall’inizio, specie nella gestione delle emozioni. E non penso solo agli atleti, ma anche agli allenatori. Psicologo per non dire psicoterapeuta dovrebbero accompagnare i ragazzi all’inizio, non noi atleti di alto livello in piena maturità”. Anche queste frasi faranno discutere?