Fermín Aldeguer è sorprendente come un pugno in mezzo agli occhi solo per chi le gare non le guarda. Vent’anni come Pedro Acosta, con cui condivide gran parte della carriera e dell’infanzia, essendo anche lui di Murcia. Fermín è un piccolo miracolo prodotto dal talento, perché di soldi a casa sua non ce n’erano e i risultati ne hanno certamente sofferto. L’incertezza con cui si è presentato lo scorso inverno alla stampa è sparita con i due terzi posti a Le Mans, o forse già dopo aver accarezzato l’idea del podio sia in Spagna che in Qatar. Franco Morbidelli dice che lui è rimasto stupito da Aldeguer a Austin, non in Francia.
Oggi Fermín corre per la Gresini Racing, la stessa squadra che ha portato Enea Bastianini nel team ufficiale Ducati, quella con cui Fabio Di Giannantonio ha vinto in MotoGP, quella con cui Marc Marquez, sempre vestito d’azzurro, ha cambiato per sempre la sua storia, esattamente come oggi sta facendo suo fratello Alex. Ha la faccia di uno che ha appena cominciato a fare paura. E che continuerà almeno per i prossimi 15 anni.

“Bello il podio di domenica, ancora meglio di quello di sabato”, esordisce Fermín quando accendiamo il registratore. Siamo seduti con lui sul divanetto del suo ufficio in pista, le tute appese a lato e la televisione che manda la replica dell’ultimo GP. “La verità è che non me lo aspettavo, anche se io non mi sento da terzo posto. Ho voglia di fare di più. A Le Mans ho imparato che in MotoGP le gare sull’acqua sono lunghe e vanno gestite, cercando il ritmo un po’ alla volta per dare il massimo sul finale”. Dice di divertirsi, di essere un bambino. Gli altri però, hanno smesso già da un po’ di ridere all’idea di averlo contro.
Hai una rosa tatuata sul collo. Perché?
Fermín Aldeguer ride.
"Quando avevo quindici, sedici anni mi piacevano i tatuaggi e cercavo un modo per convincere mia mamma, pensavo a cosa avrei potuto dirle per lasciarmelo fare. Mia mamma si chiama Rosa, le ho detto che volevo tatuarmi una rosa per lei… è stata contenta”.
Qui fuori, davanti al camion del Team Gresini, c’è una tua foto alta sei metri. Quando arrivi in circuito il giovedì ti fanno le foto per mostrare ai fan come sei vestito. Come vivi questa roba?
“È molto diverso rispetto a quello a cui ero abituato, anche in Moto2. È più bello per me, per la squadra, per la gente. È tutto diverso, c’è molto più lavoro. La prima volta che mi sono trovato nel box della MotoGP da pilota eravamo in Australia e dovevamo prendere le misure della moto. Mi sono seduto sulla Ducati di Marc e c’erano 20 persone a guardarmi. Ero lì con mio papà, ma ho avuto paura. In Moto2 hai cinque, massimo sei persone per entrambi i piloti. In MotoGP di persone ce ne sono almeno 10 per ogni pilota. Anche il lavoro coi media, gli eventi, la gente, le foto… Ora non mi pesa, ma all’inizio era più facile: quando è tutto nuovo ti diverti, ora dopo tante gare comincio a essere stanco e a volte vorrei solo arrivare al motorhome e stare tranquillo”.
Ho letto che hai vinto il tuo primo campionato a sei anni, col 110cc. Ma quando hai cominciato a guidare, a due anni?
Fermín ride di nuovo. Parliamo in italiano, che gli riesce meglio dell’inglese.
“Ho cominciato a girare a quattro anni, andavo tutte le settimane con la minimoto e non mi sono mai fermato. Poi ai sei sono passato alla MiniGP”.
Ti senti nato per questo?
“Sì. Prima lo facevo come un gioco, certo che ora non è un lavoro perché mi diverto, è il mio sogno. Però tutti i giorni lavoro per questo. Mi piace da impazzire, questa è la verità”.
Tu, un po’ come Franco Morbidelli e Johann Zarco, sei arrivato passando per una strada diversa rispetto a piloti che corrono la Rookies Cup, poi la Moto3, la Moto2 e infine la MotoGP. Ti senti mai in difetto rispetto a chi questi campionati li ha corsi?
“Mi sarebbe piaciuto fare tutto il percorso normalmente, perché sento che col mio potenziale potrei aver vinto anche altri campionati. Ho fatto la European Talent Cup e ho finito terzo all’ultimo anno, ma quando c’era da fare il salto al FIM Junior Moto3 non avevo i soldi per fare le gare e l’unica opzione è stata quella di prendere un’altra strada. Però sai… se cinque anni fa mi avessi detto che nel 2025 sarei stato in MotoGP ti avrei riso addosso. Speravo di arrivare nel motomondiale nel 2022, 2023. Ma tutto è andato veloce e ora siamo qui. Meglio, no?”.
Certo. Senti, a proposito: se tu avessi avuto un decimo di talento in meno ma dieci milioni di euro in più in banca avresti vinto di più? Avresti avuto una carriera migliore?
“È una domanda difficile. Sicuramente si perché… anzi, no. Dico di no. Ho fatto bei risultati anche quando non avevo i soldi per correre e quando ho avuto l’opportunità sono sempre riuscito ad approfittarne. Nel 2021 ho debuttato nel mondiale: sono entrato direttamente in Q2 e ho chiuso 12°, l’ho fatto essendo il pilota più giovane in griglia. Pensa che avevo appena compiuto 16 anni. Tutta la mia carriera è stata diversa, più difficile, ma non per i risultati. Era un discorso di soldi. Ma ora credo che se c’è il talento una strada si troverà sempre”.
Cosa comprerai col tuo primo milione?
“Ho comprato una casa, ora prenderò una macchina bella”.
Una Porsche GT3?
“Sì”.
Risate.

A Imola, durante la presentazione del team, sembravi quasi spaventato. Nadia Padovani e i ragazzi della Gresini Racing però ti hanno detto di prendertela con calma e adesso, con grande anticipo, i risultati si vedono. Quanto è stato importante questo approccio da parte del team?
“Credo che trovarmi nel Team Gresini mi stia aiutando tantissimo a progredire: nessuno mi chiede risultati, tutto quello che facciamo è divertente… è una gran famiglia. Sai, quando sei fuori dal box non pensi a quello che hai fatto in pista e puoi liberare la mente, nel frattempo sta andando tutto bene e i risultati ci sono. Forse nessuno pensava di arrivarci così in fretta. Franky (Carchedi, suo capotecnico, ndr) mi dice sempre che siamo avanti col programma. La verità è che sono molto contento”.
Hai fatto un grosso passo in avanti in Texas in termini di risultati. Cosa è cambiato?
“Sinceramente non credo sia cambiato chissà che. Anche in Argentina e Thailandia eravamo forti ma le condizioni - la pista, il setting, la posizione in griglia e tutto il resto - erano molto diverse. Ad Austin, che è una pista difficile, mi sono sentito forte, sono riuscito a entrare in Q2. E quando vedi una top 5 ti carichi come un matto. Vai in pista con una extra motivazione”.
Che compagno di squadra è Alex Marquez?
“Ognuno lavora al suo, poi ci sono sempre dettagli o dubbi di cui parliamo assieme guardando i video con gli altri piloti Ducati. Lì mi aiuta, anche fuori dal box: abbiamo un bel rapporto, molto tranquillo”.
Ti alleni spesso con lui e con Marc. Che effetto fa?
“È vero, qualche volta ci alleniamo insieme. È chiaro, quando sei con loro e hai la stessa moto, magari sei forte come loro e qualche volta anche un po’ di più… pensi che con la MotoGP puoi fare uguale, no? Batterli! Ma è bello, impari sempre. E quando vedi uno veramente forte in automatico anche tu spingi di più”.
E Marc? È uno che dà consigli?
“Parliamo tanto, ma non mi ha dato una chiave precisa per farcela. Mi ha detto di prendermi il mio tempo”.

Sogni mai la tua moto, la tua Ducati?
“Sì, sì! Prima, che non giravo con la MotoGP, la sognavo spessissimo. Ora un po’ meno, ma ogni tanto sogno ancora di tagliare il traguardo con una vittoria”.
È questo il tuo obiettivo?
“Mah, se arriva perfetto. Per il momento penso a lavorare e a divertirmi sulla moto, il resto arriverà”.
Ti giochi il Rookie of the Year con Ai Ogura. Chi lo vince?
“Spero io. Sì, sì. Lo va a vincere Fermín”.
In pista ci sono sei Ducati. Chi è più completo, di chi hai più paura? Puoi farmi una classifica?
“Marc, poi Alex. Pecco, Morbidelli che sta facendo un buon anno e Diggia, a quel punto io, che sto imparando. Preferisco essere sesto a inizio anno e poi arrivare davanti a fine stagione”.
Che pilota vorresti essere per la gente? Uno con tanto cuore alla Kevin Schwantz? Uno che vince tanto?
“Un po’ perfetto, no? Un po’ tutto! (Ride, ndr). Voglio essere veloce e fare risultati, ma se poi alla gente non piaci può andarti bene, ma non è bello per te. Mi piacerebbe soprattutto che la gente mi vedesse per quello che sono: felice, che gioco. Ora sono un bambino, sai? E faccio quello che mi piace”.
