Appendere la racchetta al chiodo, dopo una carriera fatta di genio, sregolatezza e momenti indimenticabili. Fabio Fognini lo ha fatto a modo suo, senza annunci plateali, ma lasciando che fosse il campo a parlare per lui. E che campo: il Centrale di Wimbledon, in piedi ad applaudirlo dopo una battaglia epica contro Carlos Alcaraz. A 38 anni, il ligure ha costretto il campione in carica al quinto set, risvegliando l’amore di uno sport che ha sedotto e respinto a fasi alterne. “Non pensavo di poter giocare una partita così. Alla fine, ho detto basta. Il corpo non ne poteva più: era ora di smettere”, racconta al Corriere della Sera. Due giorni di silenzio, tv spenta, birretta in mano e un dialogo intimo con sé stesso. “Flavia lavorava in tv, i bimbi erano dai nonni. Ho preso una birra con Fabio Fognini e gli ho detto: basta. Era arrivato il momento giusto”. E quel momento è arrivato a casa, in famiglia. “Ho annunciato a Flavia e ai nani che avremmo cenato tutti insieme. Dopo un paio di bicchieri mi sono scolato la bottiglia. Ho guardato mia moglie e le ho detto: ‘d’ora in poi dovrai sopportarmi un po’ di più’. Lei ha capito subito, mi ha abbracciato. La sera dopo l’ho detto anche a mamma, papà e mia sorella. Loro hanno risposto: ‘credevamo ci annunciassi il quarto figlio’”.

Il congedo arriva sulle note dell’affetto collettivo. Lo scrive Cobolli, suo giovane protetto e talento della sua agenzia: “Se oggi siamo tanti italiani in classifica, è merito tuo”. E Fognini ammette: “Non mi ero accorto di aver rappresentato un esempio. Solo ora lo capisco. Mi hanno scritto i miei amici calciatori dell’Inter, Tomba, Nadal, Djokovic. Non sapevo di essere così amato. Ho sempre alzato una barriera, davo di matto per difendere la mia sensibilità. Non sono mai stato un santo, ma ho sempre fatto del male solo a me stesso. Chi mi ha conosciuto, però, sa”. E infatti parla del “doppio Fognini”, quello irascibile e imprevedibile: “Quel tizio è ancora qui, ma con il tempo e la maturità si è trasformato. La nascita dei bambini mi ha cambiato profondamente. Anche gli errori fanno parte della crescita, e li ho sempre pagati”. L’ultimo match davanti ai figli, poi, è stato la chiusura perfetta di un cerchio. “Eravamo ancora in Italia quando ho scoperto che avrei affrontato Alcaraz. Federico, che è un suo tifoso, mi fa: ‘che bello papà, così perdi’. Gli ho chiesto: ‘vuoi venire?’. E tutta la famiglia è partita per Londra. L’applauso di Carlos a fine partita è stato indescrivibile. Gli ho chiesto una maglia per Fede, che è impazzito di gioia. La sera, tutti a mangiare il sushi”. Ora comincia un’altra fase, più lenta, più libera.

“Per vent’anni ho fatto una cosa sola: giocare a tennis. Ora voglio camminare, non correre. Godermi i bimbi, la vita, la nuova attività da manager e scopritore di talenti. Ho due esibizioni confermate, penso di portare i bambini a New York, per il decennale della vittoria di Flavia. Ma ora vado in Puglia. Stacco tutto. E non voglio pensare più a niente”. Non si esclude un’apparizione a “Ballando con le stelle”: “Milly mi aveva già voluto come ballerino per una notte. Per uno come me, competitivo, potrebbe essere una bella sfida. Vedremo”. Resta, però, una piccola nota stonata: la Coppa Davis che non è mai arrivata. “Un tasto delicato. Più che un rimpianto è un sogno irrealizzato. Ho sempre risposto presente, anche con una gamba sola. La maglia azzurra mi ha dato una delle vittorie più belle, con Andy Murray a Napoli nel 2014. Vincere la Davis era un sogno che avrei voluto vivere, perché me la meritavo. Sarebbe stato giusto così. Non è successo”. Eppure, il bilancio è più che positivo. “È stata una vita più grande di quanto avessi immaginato. Entrare nei top 10 in singolo e in doppio, vincere Montecarlo, uscire dal Centrale di Wimbledon dopo quattro ore contro Alcaraz. Ho attraversato l’epoca irripetibile dei Big Three. Li ho battuti due su tre. Ho vissuto tutto, intensamente, forse troppo. Ma è stato bellissimo”.