Gimbo Tamberi dovrà fare la gara più dura della sua vita. Certo, prima era quella per arrivare in finale, qualche giorno fa, dopo una colica renale. “Sarà la gara più difficile della mia vita”, disse, ma ora, che alla vigilia della grande serata i dolori sono tornati, quei dolori “lancinanti” che lo hanno svegliato alle cinque di notte, arriva un altro post. Commemorazione liquida (Bauman), adatta per ogni occasione, che ricorda i secchioni che mettevano le mani avanti prima della verifica, “mi andrà malissimo”, e poi prendevano dieci. “Ho ricevuto un sostegno e un affetto cosi grande da parte di tutti voi che mi ha dato una forza unica per rialzarmi da questo ennesimo problema, ma evidentemente doveva andare così.....” Come a dire che Gimbo è di tutti, simbolo d’Italia, simulacro, totem del costume degli italiani. E forse è vero. Tant’è che nessuno in Italia ha ancora detto che Tamberi ha rotto il caz*o. Aspettate, vi spieghiamo. Ha stancato il vittimismo, ci sta perdere, non serve il copione. Non è quello il suo mestiere. E il suo talento dovrebbe bastare per capire quanto tutto il resto sia dozzinale.
Ci sono la fede nella Senna e le parole in un post pubblico per la moglie, la promessa di un amore che resiste alle sporche correnti parigine, l’invito a gettare nel fiume anche l’anello rimasto al dito (dove deve stare), le molle nelle scarpe ai mondiali, che eccitano solo gli italiani (da sempre, nello sport, degli esaltati), le smorfie, sempre ai mondiali, per le atlete che devono passare in pista in gara e lo costringono a fermarsi, a ritardare di qualche secondo gli applausi del pubblico. È tutto ingenuo, un’estetica dei campi di girasole, che piacciono a tutti e tutti imparano a disegnare, roba facile e a buon mercato. Tamberi, hai vinto un oro (neanche record mondiale), ma puoi vincere ancora tanto. Potresti aspettare prima di sentirti parte della Storia. Non basta citare Pasolini per suggerire a Gianmarco di essere più Tamberi e meno Gimbo, uomo anche da sconfitto, non avvocato di se stesso. Se ne esci male ne sei uscito male. Resta a te la vittoria e resta a te la sconfitta. Il resto è nazionalismo spicciolo, che dura il tempo di una Olimpiade e poi scompare. Non serve a te e neppure ai tuoi fan, o ai fan dello sport in generale. Se vuoi scrivere un post fallo per insegnarci a perdere, non per raccontare in anticipo una possibile sconfitta. Alcune cose non hanno bisogno di spiegazioni, degli antefatti. In altre parole: non ce ne frega niente dei tuoi reni. O meglio, non dovrebbe fregarcene niente, almeno non così tanto da farti sentire in dovere di parlarcene prima di una gara. Fai come gli altri, che hanno gareggiato e corso con il covid e sono usciti in barella, senza nessuna medaglia. Dacci la gioia di pensare: “Solo le azioni parlano, ha fatto quel che doveva per essere lì". E permettici, se ti ameremo davvero (ma dovranno passare anni), di chiederti spiegazioni. Non darcele, non essere un brand, il tricolore sui portachiavi nelle bancarelle davanti al Colosseo.