Ci sono (almeno) due modi di raccontare la storia di Chico Forti, vero nome Enrico Forti, arrestato nel 1998 a Miami, negli Stati Uniti. La prima versione, se così vogliamo definirla, sposata dai consulenti della difesa di Forti, chiama in causa i Prosecutor e gli investigatori del caso del Miami Police Department, fatti passare per incompetenti o persone in malafede; persone che, a causa di vecchi rancori nei confronti dell'indagato, sarebbero riuscite in qualche modo a ingannare la giuria popolare e a incastrare Forti. La seconda versione è invece contenuta nel volume “Le bugie di Chico”, edito da La Bussola e scritto dal criminologo Marco Strano. Il sottotitolo preannuncia il contenuto del volume: “L'ergastolano che ci ha ingannati per vent'anni. Analisi degli atti del processo e approfondimenti investigativi”. L'intera vicenda, controversa e oggetto di accesi dibattiti, sarebbe costata a Forti un ergastolo senza condizionale in seguito al ritrovamento del corpo senza vita di Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale l'italiano stava acquistando il Pikes Hotel a Ibiza. Chico Forti si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore giudiziario. Ma per qualcuno i fatti sarebbero andati diversamente...
Strano scrive nell'introduzione del libro che Forti avrebbe tentato, tra le altre cose, di “costruirsi un alibi, falsificando documenti, mentendo e tentando di addossare la colpa a un truffatore (Thomas Knott) suo conoscente”; che avrebbe “mentito numerose volte alla Polizia” e che si sarebbe “tradito più e più volte durante il processo e in seguito durante le numerose interviste che ha rilasciato”. Da qui la decisione della giuria popolare di ritenerlo colpevole. Il tutto, ha sottolineato l'autore del volume, al termine di un “regolare processo durato 16 mesi di istruttoria e 18 udienze” e quindi più a lungo rispetto agli standard americani. E dove Forti aveva a disposizione due importanti e validi avvocati di Miami. Inizialmente arrestato per frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio, Chico Forti sarebbe stato liberato su cauzione e nei venti mesi seguenti scagionato dagli otto capi d’accusa che riguardavano la frode. Nonostante questo l'accusa utilizzò l'elemento della frode come movente dell'omicidio. Il 15 giugno 2000 è andata in scena l'arringa finale. Quel giorno la giuria popolare della Dade County di Miami avrebbe giudicato l'italiano colpevole "per aver personalmente e/o con altre persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto dilettuoso, provocato, dolorosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike".
Arriviamo al presente. Dopo 26 anni di galera negli Usa, Chico Forti è stato rimpatriato in Italia. I media nostrani, ha scritto ancora Strano, hanno preannunciato che, ora che è avvenuto il rientro in patria dell'uomo, “saranno presto applicate delle misure alternative alla detenzione come gli arresti domiciliari, la semilibertà e i permessi premio”. Non solo: pare che Forti “abbia lasciato intendere di aver avuto già delle proposte per entrare in politica”. Il libro, a questo punto, solleva numerose domande: perché diversi politici italiani hanno espresso pubblicamente, nel corso degli anni, la convinzione che Enrico Forti fosse innocente “basandosi esclusivamente sulle informazioni messe in circolazione dalla difesa”? Perché i governi italiani succedutisi nel tempo “non hanno richiesto il fascicolo processuale all’Attorney general di Miami, Katherine Fernandez Rundle, che si era resa disponibile”? Non manca chi ha intravisto nelle migliaia di persone che sostengono Enrico Forti “un interessante bacino elettorale”. “Questo – si legge ancora nel volume citato - troverebbe conferma anche nel fatto che per gli altri 67 italiani (…) detenuti in carceri americane non è stata fatta nessuna richiesta di estradizione”...