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I tifosi sono l'ultima linea di difesa contro il capitalismo nel calcio? Basta guardare al caso Lukaku

  • di Dario Baldi Dario Baldi

19 luglio 2023

I tifosi sono l'ultima linea di difesa contro il capitalismo nel calcio? Basta guardare al caso Lukaku
Stiamo assistendo a una "arabizzazione" del calcio, che porta i calciatori a tradire i propri tifosi pur di cambiare squadra e ottenere lo stipendio più alto? In un mondo in cui gli sportivi sono vip e la curva non conta più, come nel caso di Lukaku, sono proprio i tifosi gli ultimi veri disobbedienti, in grado di godersi una partita di cuore e fottendosene del capitalismo

di Dario Baldi Dario Baldi

Non esistono più i sentimenti tra calciatori e supporters, non c’è più quella vicinanza umana dove lo sportivo capisce che senza quel tifoso lui non sarebbe niente. Persino le attese per mezza foto fuori dal centro sportivo sono qualcosa ormai di poco praticato. Tutto è scisso, tutto è legato al denaro. Il calciatore fa il calciatore, ormai posto nel ruolo elitario di Vip da molti decenni. Non conta lo stadio, la curva, la coreografia. A lui basta lo stipendio. Altrimenti l’exploit del calcio in Arabia non ci sarebbe. Il tifoso, quindi, deve difendersi. Il recente caso Romelu Lukaku ne è l’emblema. Soldi, soldi, soldi, solo soldi. E poco importano i sentimenti di un popolo intero che viene tradito, per la seconda volta. Credere ai calciatori è da folli e tutti noi, qualsiasi sia la nostra fede, dobbiamo imparare a concentrarci solo sui colori delle nostre rispettive squadre, quelle per cui maciniamo chilometri e spendiamo soldi. Basta nomi sulla schiena, basta elogi a questo piuttosto che cori per quell’altro. La testa del calciatore è buona per portare il cappello, Boskov aveva ragione. È finito il calcio delle bandiere, quello dove nessuno si sarebbe permesso di andare a una squadra rivale, quello dell’amore eterno. Quello dove il calciatore era ancora un essere umano con dei sentimenti, esattamente come un tifoso. Sono finiti i valori del calcio, insieme al pallone stesso. Intendiamoci bene. In un calcio monopolizzato dalle televisioni e dove il paese benpensante elogia il tifoso da teatro in stile Allianz Stadium, il caso Lukaku è solo l’inizio. Più grande è la fiducia, più grande è il tradimento. Partendo da questo sacrosanto principio dovremmo approcciarci, da tifosi, al mondo del calcio di oggi.

Romelu Lukaku
Romelu Lukaku

Ma va bene così, è questo il calcio di oggi. Per questo i tifosi sono l’unico contrasto al calcio moderno. Sono gli unici portatori sani di quello che Pier Paolo Pasolini definiva “malattia giovanile che dura tutta la vita”. Perché per tifare un po’ si è malati. Si passano nottate insonni, si viaggia chilometri e chilometri, per poi stare novanta minuti su degli spalti brutti con una birra in mano e casomai perdere. Ma non è importante il risultato, il tifo è irrazionale, è di cuore. L’inseguire i soldi no, lì c’è razionalità. Smettiamo di innamorarci di match di Tinder, questi sono i calciatori. Concretizziamo, piuttosto, i sentimenti che abbiamo verso un qualcosa che mai ci tradirà: la nostra squadra. Perché nel momento in cui si preferisce l’Al Nassr, che ieri ha perso 5-0 in amichevole col Celta Vigo, al calcio della vecchia Europa, significa che il senso dell’amore per il calcio non c’è più. Non importa più il contorno, l’essere qualcosa per il volgo, conta solo l’accredito mensile sul conto bancario. La spaccatura tra il professionista legato al bonifico e il tifoso legato alla propria squadra è insanabile. Romelu Lukaku fa il suo, anche se finisse in Arabia. Seguire un contratto soddisfacente senza star dietro a nessuno.

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