“No judges, no referees, no trophies,
one rule only:
be friends at the end of the day!”
Marc “Crafty Dog” Danny, all’inizio del Gathering of the Pack
Maschera da scherma, guanti da hockey, il bastone in mano che gira in senso antiorario, crea semicerchi nell’aria intercalando un otto orizzontale, come accennasse un infinito. Muovere costantemente il bastone significa sorprendere l’avversario con la mossa successiva, essere più veloci nell’attacco. La difesa esiste solo nel suo sinonimo più efficace: contrattacco. L’avversario è di fronte, ha le tue stesse protezioni, sembra uno specchio in differita, se non fosse per i vestiti. Si gira in cerchio, ci si annusa, parte qualche fendente giusto per conoscere il livello di preparazione, rompere il ghiaccio, come in un incontro di pugilato, di arti marziali miste, ma qua si è armati. Il respiro dentro la maschera si fa sempre più pesante. Non esiste altro al di fuori del perimetro da combattimento. L’altro, semmai, è un io che non si conosce ancora. Dentro la sua maschera sono incarnate le tue paure, i tuoi irrisolti. Il suo bastone sembra uno strumento punitivo del tuo inconscio. Sei qui per affrontarne la violenza con la grammatica della lotta, a giocarti ossa, legamenti, buttare tutto sul campo, fare all in. Ti prepari da troppo tempo e scappare ormai non si può. Il tempo collassa. Go!
Il posto
Una palestra. Niente luci della ribalta, lo show è ridotto al minimo della spettacolarizzazione. Non ci sono giudici: al loro posto un cerimoniere che controlla il combattimento; niente trofei, il premio è tornare a casa interi. Poche essenziali regole dove la più importante è essere amici alla fine della giornata. Niente trash talking, televisioni, social che impazzano, pubblico urlante, gabbie. Si respira un grande rispetto per chi esordisce, come per chi ormai è un frequentatore consolidato.
L’evento: l'EuroGathering of the Pack
Arrivano da tutta Europa i Dog Brothers o aspiranti tali, perché per diventare un Dog bisogna avere fatto una serie di combattimenti. L’arte marziale è la Dog Brothers Martial Arts, un combattimento totale, vicino all’Mma ma con la presenza di armi: bastone singolo o doppio di rattan induriti sul fuoco, tendenzialmente di larghezza settanta centimetri e di diametro due, chiamati olisi. E noi ci saremo.
L’arma può essere anche una catena, un bastone di diametro maggiore, di lunghezza doppia, un coltello o un machete non affilato dalla punta arrotondata. Si sceglie, a inizio incontro, l’avversario e l’arma. Non ci sono categorie di peso, distinzioni di sesso, età. Non è uno sport marziale; è l’arte marziale più fedele all’etimologia del termine (da Marte, dio della guerra) e probabilmente quella più violenta che affiora sulla superfice della legalità. Nasce in America, California, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, mentre il mondo salutava le capigliature cotonate e le tastiere per la cruda distorsione del grunge. Le sue radici, invece, affondano molto più lontano, all’altra parte del Pacifico, nell’arcipelago delle Filippine, in quanto viene chiamato Kali Arnis Escrima, Kali Filippino o Filippino Martial Arts. Non è mai un sostantivo singolare questa arte marziale, anche se così viene spesso declinata ma plurale.
Le origini
La Dbma è una costola (non rotta) del Kali filippino o Kali Arnis Escrima, un’arte marziale basata sull’uso del bastone, la cui nascita viene fissata all’incirca nel Cinquecento, ma storici e studiosi sono concordi nel non parlare ancora di Kali ma del suo antenato. Una volta conquistate le Filippine gli spagnoli bandiscono l’arte marziale autoctona, non prima di averla perfezionata con le loro raffinate tecniche di scherma (da cui: escrima) e coltello, che ha un grande debito anche alla scuola italiana, soprattutto di Spada e Daga. I maestri di Kali hanno continuato a praticare e a insegnare questa arte marziale di nascosto fino alla fine dell’Ottocento; per trasmettere il movimento di gambe e la maneggevolezza del bastone ai loro adepti, gli stessi maestri, inventano danze e rituali accettati dai conquistadores come folklore di questo strano popolo. Arriviamo a fine Ottocento: le Filippine passano al controllo americano. Non ci mettono molto gli yankees a scoprire questo tesoro nascosto e non solo tolgono il veto della pratica marziale ma la incentivano per poterla imparare, farla propria. Così a inizio Novecento i maestri escono allo scoperto e nascono scuole e correnti. Pochi anni dopo, come in tutte le storie di questo tipo, gli allievi dei primi grandi Maestri (i Doce Pares) vogliono imporre la propria corrente sulle altre e sfidano gli altri praticanti in quelli che venivano chiamati Juego Todo o Death Matches, costati la vita a molti praticanti, di qualsiasi grado. Per le strade di Cebu e Manila si infittiscono i combattimenti: non sei un vero guerriero se non sfidi o accetti la sfida per un Juego Todo.
Se le arti marziali orientali venivano per lo più praticate e diffuse da monaci o rappresentati delle élite, il Kali è rimasta l’estrema àncora dialettica dei poveri. I più grandi praticanti di Kali del Novecento erano pescivendoli, trasportatori, operai, mozzi. Ed è proprio questa la ragione, probabilmente, per cui questa arte non è stata intaccata da spiritualismi (troppo sofisticati per gente illetterata che doveva solo sopravvivere) né ha offerto il fianco ad armamentari tecnici da sport, rimanendo sempre sporca, efficace, da strada – contesto dove continuava a perfezionarsi e a rimanere leale alla propria natura marziale. Efficace: parola cardine, come cardine rimane il bastone, guida anche per il combattimento a mani nude. Sostituendo il bastone con una spada, un coltello, una cintura, le mani, non cambia la struttura dell’arte marziale – la distanza, certo, la pressione, non il movimento di gambe; si lavora sui principi, non sulle tecniche, e in quelli, il Kali ha una precisione chirurgica. Il pugilato occidentale, l’uso del coltello europeo mischiato con la scherma, la fusione in certe regioni col Silat malese e indonesiano, certe dinamiche del Wing Chun – il Kali Arnis Escrima ha unito Oriente e Occidente non solo nel nome ma nella struttura stessa della propria identità.
Portato dalle migrazioni filippine nelle Hawaii e poi in California, si è diffuso rapidamente negli ultimi 50 anni, grazie in particolar modo a Dan Inosanto, allievo e amico di Bruce Lee, probabilmente uno dei maggiori conoscitori di arti marziali che esistano e colonna portante non solo del Kali ma anche del Jeet Kun Do. Oggi è insegnato molto nelle Accademie Militari, studiato come base da vari sistemi marziali, tra cui Krav Maga e Keysi Fighting Method (quello di Batman Begins, per capirci; quando vengono usate le armi è puro Kali) ed è presente nelle scene iconiche di innumerevoli film, tra cui: la saga di Jason Bourne, la saga di John Wick, le prime pellicole di Steven Seagal (che in Out of Justice del 1991 invita proprio Dan Inosanto per un cameo con i bastoni), la trilogia di Taken con Liam Neeson, la trilogia di Equalizer con Denzel Washington e tanti altri, di produzione indonesiana e coreana, tra cui Merantau, La notte su di noi, Revenger, Headshot.
Nascita dei Dog Brothers
Dan Inosanto ha più di tutti, come dicevamo, contribuito a diffondere il Kali nel mondo. La sua Academy da più di quarant’anni forma istruttori, maestri, star di Hollywood, fazioni dell’esercito americano. In seno all’Academy, un gruppo di praticanti decidono di spogliarsi dell’insieme di regole tecniche e didattiche e ridurre il Kali a poche, elementari tecniche di lotta. Sono in tre, all’inizio, si fermano di più, quando i corsi sono finiti, per allenarsi nel combattimento col bastone vecchio stile, riproponendo i Juego Todo o Death Matches ma con minime protezioni: maschera da scherma e guanti da hockey. Vogliono capire, non ammazzarsi, sono amici. Li chiamano “after midnight group”. Da quel gruppo sparuto capeggiato da Marc “Crafty Dog” Denny, Eric “Top Dog” Knaus, Arlan “Salty Dog” Sanford, nei primi anni Novanta, nascono i Dog Brothers, che man mano si diffondono prima in California, poi in tutta l’America e grazie a Benjamin Rittiner (Lonely Dog) anche in Europa.
Organizzano i Gathering per sfidarsi, mettersi alla prova in combattimenti realistici – eventi che man mano diventano sempre più strutturati, dominati da artisti marziali “totali”. La violenza bruta viene sostituita, come accadde alle gabbie di Mma più o meno nello stesso periodo, da una preparazione tecnica, controllata. Non sfugge a chi ha praticato o pratica pugilato o Muay Thai il movimento di gambe. Mentre l’Mma è diventato, fuori dalla gabbia, uno spettacolo fatto di divismo commerciale per fare hype, aumentare gli streaming, grazie a trash talking e insulti tra gli sfidanti e mentre varie arti marziali si sono trasformate in sport da palestra dove si fa collezionismo di tecniche inefficaci in un contesto reale; mentre su YouTube o in vari corsi impazzano disarmi da coltelli o addirittura da armi da fuoco che rasentano la fantascienza, i Dog Brothers, leali a un’arcaica ricerca della verità che Pasolini chiamava “necessaria, brutale”, lasciano famiglia, impegni, uffici, lavoro, in direzione gathering. La maschera da scherma non serve solo a proteggere il cranio da colpi potenzialmente fatali: ha la funzione di spersonalizzare l’io, ridurlo a pura volontà di autosuperamento, che qua avviene combattendo la lotta legalizzata più violenta nel circuito contemporaneo perché contempla, anzi è basata, sull’uso delle armi da percussione. Finiti gli incontri, della durata di due minuti, ognuno torna alla propria vita, si spera senza passare per l’ospedale, avendo domato i propri demoni per poco e con qualche amico e amica in più.