La Juventus, più che una squadra, è un’entità tentacolare tra brand e religione laica, tra feticcio nazionalpopolare e distillato di potere sabaudo. È dunque con questo spirito – lucido, seppure fatalista – che va letto il gesto di John Elkann, tornato in tribuna allo Stadium di Torino come una sorta di tutor dell’esordio di Tudor (Igor, alla prima da allenatore), e come un finanziatore esplicito. Ha versato 15 milioni di euro, cifra non clamorosa per i bilanci del club, ma sufficientemente evocativa da meritare, come ha osservato Guido Vaciago, “l’onore e l’onere di un’interpretazione”.
Il direttore di Tuttosport chiarisce subito: “Elkann rimette i soldi nella Juventus, 15 milioni subito che possono arrivare a essere 110”. Formalmente, è un intervento per proteggere il patrimonio netto: “Non dovrebbe succedere questo nella stagione, ma a scanso di imprevisti Elkann mette questa difesa”. Ma la sostanza — come sempre accade nei gesti degli Elkann-Agnelli, figli di una stirpe che ha trasformato l’ambiguità in linguaggio — è politica: “significa che Elkann non ha intenzione di vendere la Juventus né di distaccarsene”.
La lettera piena di silenzio sulla Juve di Elkann (Exor) agli azionisti? Non distacco, dice Vaciago, ma discrezione dinastica? “102 anni dopo il suo inizio, il rapporto tra la Juventus e la famiglia è ancora fortissimo”. Il denaro, si sa, non mente mai. E quel bonifico, ancor più del posto in tribuna, è un atto di governo. Un monito. Un invito a chi vive di stipendio ma gioca o dirige come se non ne meritasse uno: “È anche un segnale chiaro e forte a tutti. Tutti, dalla dirigenza alla squadra, passando per staff e allenatore, devono iniziare a pedalare più forte e sentire forte la responsabilità di essere Juventus”. Quindici milioni, in questo senso, sono un avvertimento: “Chi ha orecchie per intendere…”.

Tony Damascelli, su Il Giornale, cerca di individuare la rotta della Signora, con l’occhio di chi ha visto scudetti e fallimenti: “La nuova Juventus si porta appresso scorie vecchie”, scrive. I “non pervenuti” sono rimasti tali: “Veiga-Kelly farebbe fatica nelle serie inferiori”. Koopmeiners? “Assoluto impalpabile, alla ricerca del calcio perduto, fuori da ogni situazione”. Thuram? “Troppo fumo, mai utile e decisivo”. Solo Yldiz salva l’onore juventino, “con classe, stile, tigna, gol”, per altro “sollecitato dallo stesso Tudor che ha sempre chiesto ai suoi di agire e reagire”.
Eppure, in mezzo al guado tecnico, qualcosa somiglia a un risveglio. “La squadra è stata più reattiva nei contrasti, dato assai raro in questa stagione”. C’è persino spazio per una valutazione tattica: “la prestazione positiva di Gonzalez, soprattutto nel primo tempo, si spiega con l’impegno sull’out di destra, la sua area preferita ai tempi fiorentini”. Il che, se vogliamo, suggerisce che per iniziare a ricostruire non serve la scienza dei numeri, ma la semplice memoria del buonsenso.
A proposito di scelte, Damascelli trova “singolare la scelta di Kelly e non di Kalulu nel previsto trio difensivo”. Kalulu ha esperienza, qualità, carattere. Kelly ha un prezzo: “Pagato una cifra scriteriata”. Ma qui, forse, non siamo più nel calcio, bensì nell’algebra che lo governa.

Resta Elkann. Figura austera, che irrompe con sobrietà: “Con i 15 milioni di fornitura immediata ha garantito il respiro necessario per gli stipendi”, annota Damascelli. Il resto — la narrativa, l’identità, le glorie di famiglia — “fa parte della propaganda”. Ma c’è una differenza, sottolinea: “Per fortuna c’è un azionista chiaro, individuato, storico, rispetto ad altre realtà finanziarie opache e ambigue della Serie A”. E già questa, in un calcio che vive di fondi e fiduciarie, è una forma di moralità.
Perché il calcio, come ogni altra forma di potere, ha bisogno di legittimità. E se Tudor ha il compito ingrato di raddrizzare una stagione sgangherata, Elkann, con il suo assegno e la sua ombra lunga, si propone come garante di una continuità dinastica e istituzionale. Tutor o tutore, a seconda del lessico e del grado di fiducia.
Intanto, la Juventus ha vinto. Ormai sembra una notizia. E lo è.
