“Fare l’allenatore? Pare quasi una moda, il patentino lo prende anche un idraulico. E va bene, è giusto che tutti abbiano questo sogno. Ma con un limite, si dia la priorità a chi ha giocato”, dice Francesco Acerbi, 34 anni, difensore dell’Inter, alla Gazzetta dello sport. In altre parole, chiede più spazio per chi termina la carriera da calciatore e vuole iniziare quella da allenatore. C’è qualcosa di strano? No. Lo dovrebbe essere? Sì. Acerbi - un passato come difensore in squadre di provincia quali Chievo Verona e Sassuolo, nel mezzo sei mesi al Milan, successivamente sei anni alla Lazio e in questa stagione, da agosto, difensore dell’Inter del suo ex allenatore, Simone Inzaghi; qua e là un po’ di Nazionale - negli ultimi mesi ha dato un boost alla sua carriera, ritrovandosi a 34 anni non a competere a un livello inferiore dopo anni di spessore con la Lazio, bensì ad alzare l’asticella, diventando titolare della squadra seconda in classifica. Eppure, nonostante questo periodo d’oro - altrimenti la Gazzetta non andrebbe a intervistare un difensore centrale di 34 anni, arrivato all’Inter non certo per essere l’acquisto dell’anno -, lo scivolone e il poco rispetto verso chi insegue il sogno di allenare sono clamorosi. Non che nello sport si fatichino a trovare polemiche, eppure, questa di Acerbi è forse passata troppo inosservata rispetto all’ottusità della considerazione. Un personaggio pubblico che dice “fare l’allenatore va quasi di moda” rischia di innescare leggerezze e falsità sul mondo degli allenatori italiani. Che, invece, a differenza di quello che dice il difensore dell’Inter, hanno molta più difficoltà ad accedere ai corsi di formazione più alti.
Perché per quanto Acerbi abbia confessato nella stessa intervista di voler fare l’allenatore forse non ha letto il regolamento per accedere ai corsi tecnici UEFA di Coverciano, il centro federale (in cui si allenano anche le nazionali italiane maschili e femminili) dove vengono rilasciati gli attestati ufficiali - il famoso patentino - che ti permettono di fare l’allenatore in Italia e in Europa. E ce ne sono di livelli, accessibili in base al costo e alle selezioni tramite graduatorie. Il patentino di maggior livello è l’UEFA Pro, che permette di allenare a ogni livello calcistico, ed è seguito dall’attestato di UEFA A, che invece permette di essere al massimo allenatore in seconda per qualsiasi livello e di allenare come primo allenatore dalla Serie C in giù. Poi ci sono, a cascata, i patentini UEFA B, UEFA C e l’ultimo che è l’UEFA D. Quello che smentisce appunto Acerbi è la selezione che si crea all’ingresso di questi corsi. Essendoci posti limitati, praticamente si crea una classifica e si attiva un sistema di calcolo che tiene molto conto del percorso da calciatore di chi fa domanda. Nel computo, il dato che permette a tanti ex calciatori di Serie A e Serie B di “entrare a Coverciano” sono gli 0,2 punti che danno alle presenze nei massimi campionati e in Nazionale; risulta chiaro a questo punto che un ex calciatore di Serie A o Serie B ha molta più possibilità di entrare rispetto a un ex dilettante - figuriamoci a un idraulico.
Sentendo diversi allenatori che al massimo hanno ottenuto l’UEFA B o C, il loro giudizio è che, a meno che non si abbia molta esperienza, è quasi impossibile entrare nel corso massimo. Anche perché sempre più ex calciatori provano la strada del coaching e occupano i pochi posti disponibili praticamente proprio per il fatto di essere ex calciatori. Anche perché a meno che non si abbiano grandi titoli di studio, difficilmente gli anni da allenatore dilettantistico riescono a superare gli anni di carriera da calciatore ad alti livelli. Basta vedere la lista del corso concluso di recente. Ci sono nomi meno celebri come l’ex centrocampista dell’Ascoli Davide Di Donato o il collega ex Cittadella e Chievo Manuel Iori. Poi però, a fianco a loro, in aula, si siederanno Alessandro Del Piero, Alberto Aquilani, Daniele Gastaldello e Andrea Barzagli. Due di loro, Daniele De Rossi e Raffaele Palladino, al momento allenano già ad alti livelli - uno già citato, la Spal in Serie B, l’altro sta andando molto bene con il Monza in Serie A. Per non parlare delle deleghe che molti allenatori professionisti ricevono per poter entrare subito in alcune realtà senza ancora avere il patentino adatto. Ecco perché, in altre parole (e con molti meno paragrafi), è palese che Acerbi abbia detto una cazzata. Tutti hanno la possibilità di iscriversi alle selezioni e leggere la graduatoria finale, ma lui come altri cento e passa professionisti di oggi hanno la strada in discesa grazie ai risultati ottenuti in carriera. Il problema è che con la sua frase ha insultato due categorie. Gli idraulici perché li ha fatti passare come quelli del primo lavoro buono, gli allenatori che, invece, provano ogni anno a entrare ai corsi UEFA A o PRO, li ha fatti sentire degli inconcludenti. Non c’è dubbio che chi ha avuto un passato da calciatore professionista meriti di avere un peso nel punteggio differente da chi non è stato un professionista de facto. Ma non si può essere così tanto riduzionisti. Per cui Acerbi sarà un ottimo studente, qualora decidesse davvero di entrare nel mondo degli allenatori. Ma per le conferenze stampa, magari, se arriverà a farle, gli suggeriamo anche un corso di public speaking.