Cinque gradi di giudizio, potenzialmente sei. Tre sentenze in quattordici mesi, tutte diverse una dall’altra. La regola? Nessuna regola, tipo Fight Club, perché una regola non c’è. Sarà anche vero che calcio is back, per dirla con la ridicola propaganda della Lega di Serie A, ma i palazzi del pallone italiano fanno di tutto per perdere di credibilità. Inutile girarci attorno: il processo sportivo sul caso plusvalenze che lunedì sera ha partorito dalla Corte di Appello Federale una nuova penalizzazione di 10 punti ai bianconeri, è per tanti un aborto giuridico ma, soprattutto, un pessimo spot, a proposito, per una giustizia sportiva à la carte.
Al di là della decisione, gli effetti sul torneo (sebbene per il presidente della Lega A, Casini, “la solidità del nostro campionato è comunque assicurata, noi difendiamo la sua immagine”) sono paradossali: dopo il proscioglimento di aprile 2022 per 59 dirigenti e 11 società, Juventus compresa, perché non esiste un criterio oggettivo per la valutazione dei giocatori e la richiesta di revocazione della sentenza per il solo club bianconero a dicembre, a gennaio il procuratore Chiné aveva chiesto 9 punti di penalizzazione, ottenendone -15 da parte della Corte che aveva cambiato il thema decidendum. Tre mesi a -15, poi il Collegio di Garanzia del Coni ha rimandato tutto alla Corte, chiedendo di riformulare la sentenza per alcuni dirigenti (in effetti prosciolti) e di rimodulare la penalizzazione. Così, per un mese, la Juventus ha giocato il campionato con i punti ottenuti sul campo, salvo poi trovarsi a un nuovo -10 a due giornate dalla fine (tre, considerando che la sentenza è giunta durante il riscaldamento pre-partita contro l’Empoli).
Passi lo sfogo di Allegri (“Che finisca questa storia, è uno stillicidio, ci dicano dove deve stare la Juve e facciamola finita. È una mancanza di rispetto per la gente che lavora, è incredibile, che si decida. A questo punto, basta. Era meglio se veniva definita due mesi fa, sapevamo di che morte morire e lavoravamo in un certo modo”), ma sono in tanti, a partire da José Mourinho, a vedere nella gestione del processo qualcosa di totalmente fuori logica: “Penso che abbia compromesso la regolarità del campionato, è uno scherzo saperlo a due giornate dalla fine”, ha detto il portoghese, spiegando che “se me lo avessero detto prima di Monza o della sfida col Bologna, l’approccio sarebbe stato diverso. Con quello che avevamo abbiamo deciso di mettere tutto nella coppa ed è stato fatto, ora invece…”, che per i suoi detrattori è un po’ la storia della volpe e dell’uva, ma è una verità incontestabile per tutte le squadre in lotta per i posti che qualificano alle coppe e che erano ancora in corsa in Europa, essendosi trovate a dover dosare le energie a seconda dell’obiettivo più fattibile.
Da Abodi a Giorgetti, le tempistiche e le modalità della giustizia sportiva stanno esplodendo in tutte le loro contraddizioni anche sui banchi della politica, e del resto c’è molta politica anche nel processo plusvalenze, al punto che fa riflettere la scelta del procuratore federale Chiné, il quale a gennaio aveva chiesto 9 punti di penalizzazione e lunedì ne ha chiesti 11, pur non essendo nel frattempo sopraggiunte nuove prove, anzi al cospetto della caduta delle accuse per una parte dei dirigenti. Segno che, evidentemente, l’afflittività ognuno la valuta come gli pare, ed è una considerazione abbastanza obbrobriosa sul piano giuridico. Che poi, punti di penalizzazione o meno, oggi o domani (col filone stipendi, anch’esso con il processo penale nemmeno cominciato), cosa attendersi in assoluto la Juventus già lo sa grazie ad Evelina Christillin, figura immanente tra Fifa, Uefa e Figc, per meriti invero piuttosto oscuri, la quale, prima della sentenza, aveva ammesso, in maniera abbastanza imbarazzante per Nyon, che il club deve aspettarsi l’esclusione perché “con la Uefa i rapporti non sono eccellenti per via del discorso Superlega. Di passi di avvicinamento da parte dei bianconeri non se ne sono visti dato che restano fra i tre promotori del progetto”. Chissà cosa ne pensano in Lussemburgo, dalle parti della Corte di Giustizia Europea.