Lui, Gigi Buffon, in tv con lo speciale del Tg1 “Buffon senza rete” sulla Rai, è il superportiere italiano, discusso, discutibile e tutto, ma quello resta. I suoi critici forse non saranno gelosi, non saranno invidiosi, ma sono solo gli (arche)tipici rappresentanti del moralismo ugualmente italiano, chi dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio. Gigi Buffon che in decenni di carriera ha accumulato una quantità di record. Buffon con le sue sbruffonate (divertivano ai tempi d’oro della tv quelli dalla Gialappa’s che gli facevano il meme: un portiere di classe come Abbiati diventava Sgangherati, Saponati, e mangiava il tonno sul cofano della macchina), Buffon con le sue pubblicità dell’acqua, del docciaschiuma, delle patatine.
Superportiere, e sulla faccenda non si discute: inutile riepilogare anni di militanza, squadre, i tanti tituli e l’unico mancante, la Champions, anche perché stasera lo farà con un tono protocollare da narrazione emotiva lo speciale del Tg, durante il quale Buffon si racconterà “senza filtri”.
Ma soprattutto il più italiano dei portieri. Hanno fatto benissimo a dargli il ruolo di capo-delegazione della Fgci. Buffon è la biografia dell’Italia. Ed è inutile, sciocco, antistorico, fare finta di vergognarsi di questa strana e puntiforme identità nazionale, fatta di contraddizioni su cui fighetti da spritz, moralisti da “che te serve”, cosmopoliti blasé si esercitano nel loro sport preferito: ripetere “povera Italia”, tirare in ballo ipotetici paradisi di Etica e Virtù (ma dove mai), e infine l’erezione, maschile e femminile, del ditino che ammonisce.
Buffon è l’autobiografia dell’Italia. In un Paese fatto di periferie e villaggi, Gigi è una creatura periferica. Ultrà del Carrara, per decenni ha tenuto stampato sui guanti il nome degli Indian Tips. Un localista. Buffon è un bestemmiatore, abbiamo tanti esempi dei suoi madonnoni, che poi passano dai microfoni della tv al mondo, con corollario di squalifiche, deferimenti al tribunale, e con videomontaggi su Youtube che rinforzano semmai il detto: chi bestemmia crede.
Buffon è un tradizionalista, secondo i moralisti anche fascista e nazista: con la sua maglietta con il “Boia chi molla”, lo striscione al festeggiamento del mondiale con la scritta “Fieri di essere Italiani” e l’imbarazzante celtica, che però d’origine non è italiana. Le illazioni che assomigliano a quelle sulla presunta morte di Paul McCartney, quando nel 2000, che fu accusato di aver scelto il numero 88 perché richiamava la frase Heil Hitler. I grandi personaggi ispirano grandi minchiate.
I grandi italiani si portano dietro il vizio del gioco. Praticato e ammesso da Buffon, anche quella è una tradizione secolare. Ancora oggi chi entra in una ricevitoria può trovare l’elenco, fornito dalla Questura dei giochi proibiti: da Baccarat a Pinnacolo a Chemin De Fer a Ventuno a Zecchinetta. L’Italia è ancora il Paese della scommessa, del miracolo, di San Gennaro e della Smorfia, del Palio di Siena (creazione strapaesana, equivoca e meravigliosa), della ludopatia. Se non vi piace lo stereotipo antico, miracolistico, precario, vuol dire che credete in quell’altro, non meno antico, il posto fisso di Checco Zalone. Su questo la posizione di MOW è chiara: meglio dichiarare, onestamente, le cose, che navigare nella pegola dell’ambiguità che unisce giocatori, società, giornalismo. Chiamiamolo newswashing, chiamiamola “ibridazione”. Anche da questo punto di vista Buffon ne esce molto meglio di tanti altri, magari più giovani, magari con molti meno risultati sotto la cintura.
Sì perché, se vogliamo cedere alla parola “meritocrazia”, Buffon è un fuoriclasse nazionale e popolare. Più è meglio di tanti, appunto più giovani, che scommettono fuori dal campo e poi sul campo niente risultati. Sia detto anche per una Nazionale che non si è qualificata ai mondiali ed è in salita per gli Europei. Sia detto per la tribù del moralismo italico. Sia detto per un mondo del pallone che naviga di scandalo in scandalo, dalle scommesse alle volatili gestioni aziendali. Lui è Buffon, e intorno c’è un sistema di buffoni.