Comincia a muoversi qualcosa intorno ai nuovi criteri per la partecipazione agli incontri di boxe alle prossime Olimpiadi, in programma a Los Angeles nel 2028. Già, perché il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha da poco confermato l’inclusione della boxe ai Giochi statunitensi, riaprendo subito l’acceso dibattito che aveva visto protagonista la pugile medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi, l’algerina Imane Khelif, accusata infondatamente di essere un’atleta transgender. La questione di Khelif ha gettato grandi polemiche anche sulla World Boxing, la federazione mondiale che gestisce la boxe. A seguito dell’annuncio del Cio, l’ente ha subito fatto sapere di essere in “fase avanzata” per quanto riguarda la determinazione dell’idoneità di genere che consente a un atleta di partecipare alle competizioni. Il tema era forse il capitolo più scottante per la federazione e per il suo presidente Boris van der Vorst, che ha parlato di due o tre settimane al massimo per avere una documentazione chiara che disciplini le prossime competizioni in vista di Los Angeles: “Abbiamo istituito un gruppo di lavoro chiamato a sviluppare una politica che tenga conto di sesso, età e peso di ogni atleta. È importante garantire un’offerta competitiva e paritaria per uomini e donne che garantisca la sicurezza di tutti i soggetti coinvolti", ha detto van der Vorst. Il presidente non ha parlato direttamente del caso Khelif, limitandosi a dire che “c'è molta confusione quando si parla di atleti transgender. È molto offensivo e fuorviante perché non ci sono transgender nella boxe. Forse c'è un po' di diversità di genere, ma è qualcosa che gli esperti e noi dobbiamo definire in una politica”. Resta però il caso Kehlif – Trump, che rischia di estendersi ad altri sporti e atleti coinvolgendo il movimento lgbt+ e forzando un capitolo su cui il mondo dello sport sta senza dubbio arrancando: quello legato al dibattito di genere nello sport e alle sue implicazioni concrete, che dovrebbero tenere conto tanto della parità di genere e dell’inclusione delle minoranze, quando preservare il principio di una competizione equa e giusta. Insomma, le Olimpiadi negli Stati Uniti di Donald Trump si preannunciano come le più politiche degli ultimi anni.

Qualche ora prima Imane Khelif le aveva suonate a Donald Trump, nel “primo round” di un match mediatico che sembra destinato a durare. Nel corso di un’intervista trasmessa dalla rete televisiva britannica Itv, mercoledì sera, la pugile algerina ha messo nel mirino il prossimo obiettivo: un altro oro olimpico nel 2028 a Los Angeles, in faccia al tycoon. Va da sé che i rapporti tra la campionessa e il presidente statunitense non sono certo semplici: per Trump Khelif incarnerebbe tutto ciò contro cui la retorica MAGA si scaglia e si sfoga, soprattutto da quando la Casa Bianca ha dichiarato guerra aperta al movimento Lgbt+ e “la fine della cultura woke e dell'ideologia gender”. Poche settimane fa Trump aveva firmato un decreto per “tenere gli uomini fuori dagli sport femminili”, citando proprio la vicenda Khelif e sostenendo la falsa affermazione secondo cui la tunisina fosse un’atleta transgender. Una posizione tesa a rivangare la vicenda esplosa a Parigi: "Non sono transgender. Le provocazioni non mi riguardano e non mi intimidiscono. Il mio obiettivo è vincere seconda medaglia d'oro, ovviamente, in America, a Los Angeles”, ha risposto Khelif.

La pugile algerina è stata senz’ombra di dubbio una delle protagoniste delle scorse Olimpiadi. Non solo per la medaglia d’oro ottenuta nella boxe femminile, categoria 66 chilogrammi, ma forse soprattutto – e suo malgrado – per la grande controversia nata attorno alla sua partecipazione. A Parigi Khelif ha infatti ricevuto un'ondata di commenti negativi da parte di coloro che l'hanno accusata di essere una donna transgender. Qualche mese fa un giornalista ha pubblicato un documento riservato che riporterebbe i risultati di una visita fatta a Imane Khelif nel 2023, che rileverebbero un disordine dello sviluppo sessuale maschile molto specifico noto come deficit della 5-alpha reduttasi, che riguarda gli uomini biologici, possessori di cromosomi xy. Khelif aveva annunciato azioni legali contro i responsabili della diffusione delle ipotetiche informazioni mediche personali, avvalendosi del sostegno del Comitato Olimpico Internazionale (Cio). Nel 2023 l’atleta era stata squalificata dai Campionati mondiali di pugilato dilettante femminile poiché presentava livelli troppo alti di testosterone ad un esame del sangue fatto dalla International Boxing Association (Iba). L'allora presidente dell'Iba Umar Kremlëv la accusò di “ingannare le sue colleghe e fingersi donna”. Una decisione in seguito condannata dal Cio in quanto ritenuta "improvvisa e arbitraria" e "senza alcun giusto processo”. La vittoria ha Parigi ha però riaperto l’aspro dibattito sul suo conto, soprattutto da quando è finita sotto il bersaglio dell’uomo più potente del mondo.
