C’è un confine sottile, ma non invisibile, tra l’ironia pungente e la battuta che inciampa in qualcosa di diverso: l’invenzione che suggerisce senza sostenersi su nulla. Ed è proprio lì, in quel varco comodo e scivoloso, che si è infilata “La cattiveria” pubblicata dal Fatto Quotidiano, firmata da Silvio Perfetti, autore satirico che viene dalla scuola di Luttazzi ed ex firma di Lercio. Il bersaglio? Jannik Sinner, fresco di vittoria al primo turno del Roland Garros e, evidentemente, colpevole di essere stato fotografato per strada, a Copenaghen, in compagnia di una ragazza. Nessun gesto compromettente, nessuna dichiarazione, nessun risvolto. Solo un viaggio, come ha spiegato lui stesso in conferenza stampa, per motivi lavorativi. “Sono andato a Copenaghen per servizi fotografici. Nessuna ragazza, tutto qui”, ha risposto sorridendo. Una frase chiara.
Ma “La cattiveria” la trasforma aggiungendo un’ipotetica risposta della ragazza: “Anche io”. Nessuna “lei” ha mai parlato. Eppure, con quell’aggiunta, si insinua che la ragazza possa essere una escort. Il problema, qui, non è solo di gusto. È che manca il minimo necessario per poter parlare davvero di satira: un’aderenza, anche libera e deformata, a qualcosa di vero.

Sinner, da parte sua, non ha mai cercato né alimentato il gossip. Anzi, è sempre sembrato distante da ogni forma di narrazione spettacolare del privato. Le sue relazioni precedenti, finite, pare, proprio per la dedizione totale alla carriera, non sono mai diventate argomento da copertina. È un atleta riservato, abituato a parlare attraverso il lavoro. E forse proprio per questo, per quella mancanza di “storia”, è facile inventarne una. Non è la prima volta che il Fatto Quotidiano colpisce Sinner. Marco Travaglio aveva già parlato di lui in merito alla vicenda del doping Clostebol, parlando di “berlusconismo sportivo”. Solo che in quel caso si trattava di una lettura discutibile, ma legittima. Una lettura che faceva scopa con chi riteneca eccessivo l’innocentismo che aleggiava attorno a Jannik. Qui invece si crea un dialogo mai esistito, con lo scopo di far ridere denigrando, però, sia lei che lui.

La satira, com’è giusto, ha tutto il diritto di disturbare, di mordere, anche di esagerare. Ma ha senso quando conserva un collegamento, anche minimale, con la realtà dei fatti. Quando invece si sgancia del tutto, e decide di piegare i personaggi pubblici a scenette costruite solo per strappare una risata di riflesso, diventa altro: un gioco autoreferenziale che fa ridere chi lo scrive, non chi lo legge. E soprattutto, lascia sul tavolo due bersagli involontari. Sinner, ridotto a cliché da commedia leggera, e la ragazza con cui era, di cui non abbiamo certezze, che finisce (senza motivo) incastrata in un sottinteso volgare. Se questo è il prezzo della cattiveria quotidiana, forse è il caso di domandarsi se non valga la pena, ogni tanto, essere semplicemente corretti. Anche solo per ricordare che, a volte, una battuta intelligente pesa di più di una facile.
Qui non è questione di fare i moralisti - ben ce ne guardiamo, siamo schierati contro ogni moralismo e siamo costantemente attaccati dai moralisti - ma di far notare una potente dissonanza argomentativo: cosa c'entra Sinner con le escort? Gli si può dare, scherzando, del robot, del non italiano (nonostante non sia questo il nostro pensiero), al limite anche del dopato (anche se le prove hanno dimostrato che non è così) o dell'elusore fiscale (anche se fa tutto secondo le regole), se proprio lo si vuole attaccare strumentalmente, ma come si fa a dargli del puttaniere, riciclando il repertorio su Berlusconi che per anni e anni ha dato da mangiare a comici bravi e (spesso) meno bravi? Su, anche nel provare a far ridere bisogna essere seri, o almeno sapere di chi si parla.