Un martello spuntato e un Musetti centrato. Il derby italiano agli ottavi di finale del Masters 1000 di Montecarlo si può riassumere così. Ma non basta. Non rende giustizia né al talento di Lorenzo né alla delusione profonda che, da tifosa di Matteo Berrettini, mi porto addosso. Una partita non precisamente spettacolare, durata appena un’ora e trentaquattro minuti. Ma abbastanza da far male. Perché c’erano aspettative, c’era speranza, c’era anche una gran voglia di vederli lì, insieme, a giocarsi un pass per i quarti in un match combattuto, tirato, magari anche bellissimo. E invece no. Perché uno dei due, Berrettini, non stava bene. E non è un alibi. È un fatto. Già sul 3-3 del primo set, è arrivata la chiamata al fisioterapista. Piede destro. Il viso tirato, il passo più lento, lo sguardo basso. E poi quei due doppi falli che hanno consegnato il primo set a Musetti. E lì, nel secondo, non c’è mai stata partita. Matteo ha continuato a sbagliare, a perdere campo, a collezionare errori. Fino a quel 6-3 6-3 che ha chiuso tutto. E che ha chiuso anche un sogno: vederlo di nuovo nei quarti di un grande torneo, dove sarebbe potuto arrivare con merito, dopo l’impresa contro Zverev.

Sì, perché quella vittoria, due giorni fa, resta impressa nella memoria. Battere il numero 2 del mondo, con quella determinazione, quella forza mentale, quella capacità di soffrire senza mollare mai... sembrava il segnale di una rinascita. Di un ritorno. “Un Musetti perfetto, ha condotto un match intelligente”, ha commentato in diretta Paolo Bertolucci. “Peccato, perché avremmo potuto assistere a una partita bellissima, ma i contendenti sono due, e se uno non è al livello, il match va a farsi benedire”. E ancora: "Musetti aveva le idee chiare e un piano tattico ben preciso. Sono convinto che avrebbe potuto svilupparlo bene anche con una versione ad hoc di Berrettini. Avrebbe potuto essere un match interessante per contrasto di stili. A questo punto però siamo tutti aggrappati sulle spalle di Musetti”. E come dargli torto? Lorenzo è stato solido, continuo, mai frenetico. Ha capito subito che Matteo era in difficoltà e non gli ha concesso nulla. Nessun passaggio a vuoto. Ha servito bene, ha tenuto gli scambi dove voleva lui. Non è colpa sua se dall’altra parte il martello non martellava più.

E allora sì, fa rabbia. Perché Berrettini è un campione vero. Ha uno dei servizi più incisivi del circuito, un dritto che, quando gira, fa tremare chiunque. Ha esperienza, intelligenza tattica, umiltà e una testa da giocatore di livello. Ma ha anche un corpo che troppo spesso lo tradisce. Piede, addome, schiena, polso: negli ultimi due anni è stato un bollettino medico continuo. E nonostante tutto, lui torna. Si rialza. Lotta. Lo ha fatto anche stavolta. Ma oggi no. Oggi non ce l’ha fatta. E per chi lo segue da sempre, da Wimbledon a Montecarlo, è una di quelle giornate che ti fanno stringere i denti. Non servono processi. Serve solo dire le cose come stanno. Matteo ha perso perché non stava bene. E ha perso male. Ma chi conosce la sua storia sa che ogni volta ha ricominciato da capo. E lo farà ancora. Perché è uno che ha la pelle dura, anche quando il fisico non gli regala tregua. Ora tocca a Musetti. L’Italia del tennis resta viva, viva più che mai. Ma nel cuore, almeno oggi, ci resta una fitta: quella di non aver visto il vero Berrettini. Quello che ancora ci fa sperare, e ci fa battere il cuore.