La minaccia non paga mai. Nemmeno quando non è una minaccia e si limita a sembrarlo. E nemmeno quando è appena velata e accennata, o decorata e impreziosita fino a renderla una sorta di dichiarazione d’amore. E’ la riflessione che viene da fare leggendo le ultime dichiarazioni di Maverick Vinales. “Ho anche altre opzioni per il futuro oltre a Aprilia”, oppure “Sarebbe bello poter vincere in MotoGP con quattro marchi diversi”. Il pilota spagnolo l’ha detto probabilmente per rispondere a chi lo pressava circa l’offerta faraonica che Honda gli avrebbe fatto per portarlo nel Team Repsol e magari non c’ha neanche pensato su più di tanto rispetto a affermazioni che, invece, possono pure sembrare una mezza minaccia non tanto per Aprilia, quanto per i tifosi dell’Aprilia.
L’hanno accolto, coccolato quando le cose non andavano bene. L’hanno aspettato e sono stati lì pronti a difenderlo quando tutti associavano al cognome Vinales la definizione di “mai costante”. Poi sono stati lì pronti a abbracciarlo quando le cose hanno cominciato a girare per il meglio, fino al fine settimana perfetto di Austin. Il titolo mondiale con l’Aprilia per Maverick Vinales non è qualcosa di assurdo a cui pensare, ma lasciare che voci (o proposte) di mercato si infilino adesso nel menage è qualcosa di dannatamente pericoloso. Nell’immediato, ma pure per il futuro. Si rischia, detto in termini terra terra, di “andare sul caz*o”. Anche se queste sono le corse e anche se tutti sanno che i piloti fanno quel lavoro lì e devono guadagnare in pochi anni il massimo possibile.
Nella nuova era della MotoGP, però, un certo Marc Marquez ha dimostrato che ci si può accontentare delle tasche già abbastanza piene, per assecondare, piuttosto, il vero spirito dello sport: competere, meritare, vincere. Ecco perché quelle frasi – magari dette senza davvero pensarci più di tanto – pronunciate proprio adesso da Maverick Vinales suonano tutt’altro che bene.
C’è da aggiungere, poi, che Maverick Vinales corre con una Aprilia e che Aprilia è – insieme a Ducati – l’unico marchio che può muovere da una consapevolezza rispetto ai piloti che lascia andare: ovunque andranno, troveranno una base tecnica meno competitiva. Stare ripetutamente a affermare di avere opzioni e di poter varcare altre porte potrebbe portare a dire “vai pure, nessuno è indispensabile”. Chi c’ha sbattuto il muso (ma ancora non ha imparato) ormai due stagioni fa è Jorge Martin. Per tutto un campionato non ha fatto altro, nel 2022, che ripetere di meritare la Ducati ufficiale, di essere pronto a guardarsi intorno e cose così, salvo poi restare in Pramac quando invece Ducati gli ha preferito (giustamente in quel momento lì) Enea Bastianini. Oggi Jorge Martin è tornato a applicare il suo metodo, spiegando a ogni singola intervista di “pretendere” la Ducati ufficiale o di voler andare via. Risultato? E’ in testa al mondiale, ma a detta di tutti, nel ballottaggio con Marc Marquez e Enea Bastianini per la Desmosedici tutta rossa, è il terzo in termini di possibilità. E probabilmente scenderà da una Ducati. Per salire su una moto che, comunque, potrebbe essere di gran lunga meno performante della Desmosedici. A meno che “a salvarlo” non sia proprio Maverick Vinales, che con queste ultime “dichiarazioni da metodo Jorge Martin” potrebbe piantare senza volerlo il seme di una riflessione in Aprilia: caro Maverick, vai pure a cercare il record di quattro vittorie con quattro moto diverse in MotoGP, noi intanto puntiamo su quel Jorge Martin che, per aver fatto con Ducati ciò che tu fai con Aprilia, rischia di rimanere senza una moto competitiva. Certe uscite che suonano di minaccia, o di ultimatum, possono permettersele tutti i piloti, ma non quelli che guidano già una Ducati o una Aprilia. Almeno fino a quando Honda, Yamaha e la stessa KTM non potranno realmente competerci in termini tecnici.