Alla vigilia dei Mondiali di atletica di Tokyo (13–21 settembre), la mezzofondista Gaia Sabbatini ha pubblicato un video polemico su TikTok: “A volte mi chiedono: ‘ma tu che lavoro fai?’ e io rispondo che sono un’atleta delle Fiamme Azzurre, gruppo che appartiene alla Polizia Penitenziaria. E loro: ‘Ok, ma il lavoro vero qual è?’” ha raccontato, visibilmente irritata. E poi: “Io corro, vengo pagata per correre, per allenarmi, per gareggiare: è esattamente quello che fa un calciatore. Solo che al posto di una squadra privata io ho un gruppo sportivo che mi sostiene”.
Il video dà l’occasione per interrogarsi non tanto su se sia opportuno o meno che un’atleta come Sabbatini sia pagata dallo Stato, ma sul perché per ottenere un sostegno degli sportivi di discipline “minori” debbano arruolarsi in un corpo armato o di polizia per ricevere uno stipendio.

L’Italia e i gruppi sportivi in uniforme
Nel nostro Paese il sistema è consolidato da decenni. Oggi quasi tutti gli atleti italiani che partecipano a Olimpiadi o Mondiali individuali appartengono a un gruppo sportivo statale: le Fiamme Oro della Polizia (come il saltatore in alto Gianmarco Tamberi), le Fiamme Gialle della Guardia di Finanza (come il velocista Filippo Tortu), il Centro Sportivo Carabinieri, l’Esercito, l’Aeronautica e così via.
L’accesso avviene tramite concorsi pubblici dedicati. Chi viene selezionato diventa a tutti gli effetti militare o agente, con stipendio e contributi previdenziali regolari. Ma in pratica il lavoro consiste esclusivamente nell’attività agonistica. Nessuno di questi atleti pattuglia strade o combatte il crimine: si allenano e gareggiano indossando la divisa solo in cerimonie e presentazioni.
Questa scelta risponde a due esigenze: da un lato dare stabilità economica a sportivi che non potrebbero vivere di sponsor o premi gara, dall’altro garantire all’Italia un flusso costante di medaglie internazionali, considerate un obiettivo di interesse pubblico.

Francia e Germania: compagne di modello
La formula italiana non è isolata. In Francia, l’“Armée des Champions” arruola circa 200 atleti di alto livello. Sono militari a tutti gli effetti, con stipendio e carriera, e rappresentano il Paese nelle grandi competizioni. L’Esercito francese sottolinea che si tratta di una “missione di interesse generale”.
In Germania il sistema è ancora più ampio: la Bundeswehr conta quasi 900 soldati-atleti, ai quali si sommano decine di posti nelle Dogane e nella Polizia federale. Qui lo Stato dichiara apertamente che il sostegno allo sport di vertice è parte delle proprie funzioni.
Spagna: borse e caserme
La Spagna per anni si è affidata soprattutto al programma ADO, finanziato dal Consiglio Superiore dello Sport e dal Comitato Olimpico. Ma dal 2025 ha aperto la porta anche alle Forze Armate, con 50 posti riservati ad atleti di alto rendimento. Un ibrido che prova a conciliare borse civili e stabilità militare.

Regno Unito, Canada e Australia: la via civile
Nei Paesi anglosassoni lo sport è sostenuto senza ricorrere alla divisa.
- In Gran Bretagna, gli stipendi arrivano da Uk Sport e sono alimentati soprattutto dalla National Lottery: si chiamano Athlete Performance Awards e variano a seconda dei risultati.
- In Canada, il governo versa assegni mensili attraverso l’Athlete Assistance Program: circa 2.000 dollari canadesi al mese per un atleta senior.
- In Australia, la Australian Sports Commission distribuisce sussidi diretti (dAIS), con un incremento deciso in vista delle Olimpiadi di Brisbane 2032.
Sono modelli che separano chiaramente sport e apparati militari, ma che espongono gli atleti a maggiore precarietà: il finanziamento può calare da un anno all’altro se i risultati non arrivano.
Stati Uniti: tra sponsor e caserme di nicchia
Negli Usa il quadro è diverso. Il Comitato Olimpico e Paralimpico statunitense (Usopc) è un ente privato finanziato da sponsor e donazioni. Nel 2022 ha distribuito circa 16 milioni di dollari in stipendi a oltre 1.500 atleti e altri 5,6 milioni in premi Operation Gold per le medaglie internazionali. Non un centesimo arriva dallo Stato federale.
C’è però un’eccezione: i programmi Wcap (World Class Athlete Program) dell’Army e dell’Air Force. Chi sceglie di arruolarsi mantiene grado e paga militare mentre si prepara ai Giochi. Ma si tratta di numeri ridotti, lontani dall’impianto massiccio di Italia o Germania. La grande maggioranza degli olimpici americani è finanziata da sponsor, college e fondazioni private.

Giappone: i team aziendali
In Giappone a sostenere gli atleti non è lo Stato ma il settore privato. Le grandi imprese gestiscono i cosiddetti jitsugyōdan, team aziendali in cui gli sportivi vengono assunti come dipendenti. Corrono con il nome della compagnia sul petto e, finita la carriera, spesso restano in azienda. Un modello che lega sport ed economia produttiva. È un modello di mecenatismo privato, che garantisce allo sportivi uno stipendio e, spesso, una carriera lavorativa dopo il ritiro.
Pro e contro di ogni modello
Il sistema “in divisa” offre sicurezza economica e una cornice istituzionale solida, ma solleva dubbi: è giusto che lo Stato paghi stipendi di poliziotti e soldati a chi non svolge realmente quelle funzioni? I modelli civili (Regno Unito, Canada, Australia) sono più trasparenti ma meno protettivi. Negli Stati Uniti prevale il mercato: sponsor e università fanno da ammortizzatore, con pochi spiragli militari. In Giappone l’onere è scaricato sulle aziende.
La polemica scoppiata intorno a Gaia Sabbatini racconta una frattura culturale: l’atletica e gli sport “minori” sono percepiti da molti come hobby, non come professioni. Eppure dietro ogni medaglia olimpica ci sono anni di allenamenti, staff, viaggi, spese. L’Italia ha scelto di rispondere con i gruppi sportivi statali. Altri Paesi hanno preferito strade diverse.