La Ducati Biposto è una delle cose che ricordo meglio della mia prima volta in circuito. Era il 2008 al Mugello. Valentino Rossi avrebbe corso e vinto con uno dei caschi più riusciti della storia, di certo dei suoi. Vedevamo la gara dalla Casanova-Savelli e una vera alternativa a quel posto lì, davanti al cambio di direzione e con buona parte del circuito davanti agli occhi, non è mai stata presa in considerazione neanche negli anni a seguire. La gara andava in diretta su Italia 1, mentre dal circuito veniva raccontata da Giovanni Di Pillo che diceva cose come stac-cata infernale, pattuglia acrobatica, guerre stellari del motociclismo, buooongiorno Mugello. Era bello, funzionava. La mattina c’erano, appunto, le Ducati Biposto, la prima grande cosa che vedi solo dal circuito, mai in televisione. Passava fortissimo facendo un gran casino, ma era come se fossero corse organizzate da dei fuorilegge: poche cerimonie, solo del gran gas. E poi le telecamere non le inquadravano, le vedevi solo passarti davanti agli occhi.
Capii subito che si trattava di un altro mondo. In due su una moto da corsa senza tanti proclami, senza troppe spiegazioni, una roba così vicina che puoi vederla ma tanto lontana da non poterla mai toccare. Scopro, più avanti, che una volta c’erano saliti Schumacher, Montoya, il principe Harry e Miss Italia 2005, una biondissima Cristina Chiabotto.
Passano gli anni, Randy Mamola molla il lavoro perché non ha più l’età, la Biposto a benzina viene ritirata e si passa alla Ducati V21L, elettrica. Io nel frattempo ho un pass che mi permette di entrare in tutti i circuiti della MotoGP e per di più lo faccio di lavoro. La Ducati Biposto è ancora lì, nell’hospitality MotoX2. Sempre irraggiungibile nonostante qualche mia timida richiesta, almeno finché mi ritrovo a cena con lei, Vera Spadini, e lei la moto, parcheggiata a centrotavola per una puntata di Master of Hospitality, una serie organizzata da Prosecco, Sky e i colleghi di GPOne.
Vera Spadini è una buona amica di Giulia Marinsek, la quale organizza la hospitality MotoX2 e buona parte delle attività di PMI Connects, il marchio che gestisce l’esperienza sulla Biposto. Siamo a cena quando Vera se ne esce con quest’idea meravigliosa: dovresti farlo, mi dice. Le rispondo che sì, magari un giorno, appena si potrà, sarebbe un regalo. La mattina dopo leggo un suo messaggio: “Buongiorno. Domani - ore 15:30, dopo la Sprint, hai il check nell’hospitality di MotoX2”. È uno shaker che si agita tra le costole per produrre un istante di felicità pura, quella dei bambini che poi cerchi sempre da grande. Puoi diventa in fretta una di quelle cose talmente belle che fai fatica a godertele, sai che finché non è successo potrà anche non succedere mai. Vera Spadini: mercì beaucoup.
Arriva sabato, arrivano le qualifiche, arriva la Sprint e poi finisce mentre io comincio a sentirmi un po’ in ansia. Vado al cesso, niente. Mi dirigo quasi sconsolato in hospitality, dove vengo portato in uno stanzino pieno di autografi sul muro per un breve controllo medico. Questa roba è la vita vera, quindi non del tutto inclusiva: devi pesare meno di novanta chili, essere sotto al metro e novanta, avere pressione e battiti nella norma, aver superato i 18 anni d’età ma non i 60, non devi riempirti di medicine. Firmo diversi fogli e poi vengo rispedito in sala stampa in attesa che altri tredici ospiti completino la stessa procedura.
Un’ora più tardi stiamo facendo un primo briefing in cui ci viene raccomandato di fare una visita precauzionale al bagno. Ho già capito che non ne sarò in grado. I nostri piloti sono Franco Battaini e Fonsi Nieto, la moto produce 150 CV e, soprattutto, 140 Nm di coppia, oltre al fatto che per l’occasione monta dischi in carbonio, freni ad altissime prestazioni che in MotoE non vengono impiegati per una questione di contenimento dei costi. Facciamo un rapido briefing e veniamo divisi in due gruppi, uno per pilota, numerati in ordine dall’1 al 7 col nome del nostro uomo, divento così Battaini 4. Le istruzioni sono chiare: non muovere il culo sulla sella, tieniti forte in staccata, se ti comporti bene alla fine facciamo uno stoppie e per l’amor di Dio se ne hai bisogno vai in bagno adesso prima che sia troppo tardi.
Un tizio si tira indietro, rinuncia. Un paio di youtuber sghignazzano. Finite le raccomandazioni cominciamo ad entrare in pista, l’orologio del circuito ci dice che le 17 sono passate da un pezzo. Ci troviamo ad aspettare in pit lane ben più del previsto a causa di un incidente durante l’ultimo giro della Rookies Cup, questo perché i marshall devono riassestare le protezioni. Il che, per la prima volta, mi fa pensare al fatto che una caduta non è un’eventualità da escludere del tutto. E che se cadi ti fai male.
Fa caldo, qualcuno comincia a dare segni di nervosismo ma c’è più che altro grande tensione. Poi finalmente le moto arrivano con i due piloti, attorno viene montato una specie di cancelletto di partenza: è un’esperienza esclusiva e ha un che di giostra, solo che è tutto ben organizzato come il velocissimo treno giapponese Shinkansen. Giulia è a bordo pista a godersi il momento, stilosissima che sembra appena uscita dalla Settima Strada, il distretto fashion di Manhattan. Chiamano Battaini quattro, chiamano me. Il passeggero prima di me, una ragazza biondissima, scende con le gambe che tremano. Salgo in sella, mi attacco alle maniglie, gli dico “Vai a tutta - senza pietà” cercando di sembrare convinto, così Franco Battaini parte su di una ruota sola per qualcosa come centocinquanta metri. Bello, bellissimo. Accelerazione piena ma nessuna paura. Poi arriviamo a staccare per la Variante del Parco, una pinzata dell’altro mondo: la moto si scompone, ci buttiamo in curva, cambio di direzione, uscita. Capisco che è meglio non seguirlo spostando il culo sulla sella quando mi trovo per aria nel cambio di direzione, un mezzo secondo da cowboy appeso al toro.
Battaini si rende conto che conosco la pista e che lo sto seguendo, così entriamo alle Rio come dei disperati, forte da matti, completamente fuori da ogni logica. La velocità è senza senso, l’angolo di piega anche. Lui, per fare questa roba, deve avere un’esplosività muscolare da atleta e un controllo del mezzo spaventoso. Il rettilineo posteriore non è estremamente impressionante, d’altronde con delle moto da duecento cavalli ci sono già stato da solo e qui si va solo molto forte. Poi però arriva, anche lei in fretta, la staccata della Quercia: Iron Frank, così ha fatto scrivere sulla tuta, si produce in una frenata possente, il posteriore si solleva di forse dieci centimetri e la moto si mette di traverso per aria, pronta a ricadere e a buttarci in terra. Fa quasi paura, anzi: una paura fottuta di sbattere per terra forte, di non essermi tenuto abbastanza, di averla scomposta, di combinare un casino menorabile. Invece la moto scende, ancora di traverso, mentre Franco la sbatte dentro con la stessa semplicità di uno che appoggia lo Scarabeo sul cavalletto davanti al bar. Arriviamo al Tramonto, stessa cosa: carico sull’anteriore, moto a bandiera, inserimento da principe del ballo. Morbido, gentile. Ma va velocissimo. Entriamo al Curvone passando dal cordolo esterno per prendere meglio la corda all’interno, passiamo a una velocità folle e a venti centimetri dall’asfalto: qui ci facciamo male, penso. Qui veramente ci raccattano con le pinzette per le sopracciglia. Lo racconterò, nel migliore dei casi, uscendo dall’ospedale tra un paio di mesi. Non succede, però la staccata dopo la facciamo a moto piegata. A moto pregata anche, da me di sicuro. È bellissimo e terrificante. Quando usciamo dalla Misano 2 finalmente mi viene da ridere, mi produco anche in qualche urletto, forse non troppo virile. Arriviamo con uno stoppie d’artista, preciso e gustoso.
Vorrei abbracciarlo, Battaini. Fargli una statua e dargli in gestione casa, famiglia, lavoro, finanze. Chiamarlo davanti ai crocevia dell’esistenza come se fosse un indovino con la residenza in cima a una montagna sacra. Io a Misano ci ho girato più volte, eppure vista così la pista sembra grande la metà, un altro mondo. Il fatto che lui riesca ad affrontarlo con questa scioltezza dice molto sulle sue abilità e pure sul tiro della Ducati V21L, la MotoE, anche se a stupire veramente sono la frenata e l’inserimento in curva, cose per cui non puoi mai allenarti davvero.
La noiosissima morale di questi due minuti oltre la razionalità: i piloti vanno più forte degli esseri umani. Eppure l’unica cosa a cui penso è che è stato figo, che è una goduria oltre ogni aspettativa e che chiunque meriterebbe di fare un’esperienza simile. Pagando una cifra relativamente alta c’è modo di farlo e di non c’è cena stellata, weekend al lago o smartphone che si possa paragonare a questa cosa qui, che è vita pura, un’incisione nell’anima. Ripenso a quella volta al Mugello, ai sogni che si avverano, alla relatività del tutto e al bel momento, che è durato pochissimo ma sarà comunque per sempre. Ci stiamo cambiando quando uno degli youtuber, ancora un po' destabilizzato, dice che forse andrà a vomitare, troppa tensione da liberare. Ed è lì, mentre infilo i pantaloni, che mi accorgo di essere riuscito ad arrivare a sera senza battezzare la toiletta dell’hospitality.
Niente male, niente male davvero.