Anche nel calcio ci sono gli intoccabili. Personaggi usciti dalla Chicago del film di Brian De Palma, impossibilo da criticare e che anche quando le cose vanno male atterrano in piedi. O meglio: atterrano morbidi. Ad attutire la caduta, infatti, ci sono i giornali. Paolo Ziliani sul Fatto Quotidiano suggerisce che a godere di questo trattamento di favore sia anche Beppe Marotta. È così fin dall’inchiesta Alto Piemonte del 2016, relativa all’infiltrazione della ‘ndrangheta nella curva della Juventus. Marotta al tempo era direttore generale dei bianconeri: “Il mondo del calcio, ma direi anche del giornalismo, accolsero con un certo imbarazzo la diffusione di alcune intercettazioni riguardanti Marotta (oggi presidente dell'Inter). ‘Oggi abbiamo un altro casino, che si è buttato un altro dal ponte’, si sfoga Marotta con una certa Paola. Parla di Raffaello Bucci, il secondo impiegato a compiere quel gesto nel giro di pochi giorni”. Sempre Marotta intercettato dice che un collaboratore “che si occupava dei biglietti” si è “buttato da un ponte. A Fossano dove si è ammazzato il figlio di Agnelli”. Il dg juventino ne parla con il capo della comunicazione, Claudio Albanese, che gli dice che il suo nome appare due volte nelle carte dell’ordinanza “per i biglietti dati a un malavitoso e per un provino fatto al figlio di uno ‘ndranghetista”. Albanese sa che Repubblica uscirà con un pezzo della cronista Martinenghi. Marotta a quel punto sbotta. Nell’intercettazione riportata da Ziliani leggiamo: “Il nostro direttore li è Mario Calabresi caz*o - urla Marotta - chi è Martinenghi di Torino?”. Quasi a dire: fuoco amico. Pochi giorni dopo ne scriverà anche la Gazzetta dello sport, ma Albanese garantisce che “stanno cercando di comportarsi abbastanza bene”.

Il dirigente però, prosegue ancora Ziliani sul Fatto, non si fida e contatta il giornalista Matteo Dalla Vite, il quale coinvolgerà a sua volta il superiore Luca Curino. Per gli inquirenti Marotta avrebbe chiesto “alla Gazzetta di trattarlo bene altrimenti si arrabbia veramente”, e che “si lamenta con Matteo del fatto che lo stanno trattando come il peggior nemico, che lo stanno sputtanando e che si comporterà di conseguenza”. Il risultato è un articolo rivisto - dieci righe invece di cinquanta come previsto inizialmente - e con un titolo diverso: “Caso biglietti, ascoltato Marotta”. Ora la storia di atterraggio morbido si ripete: Simone Inzaghi se n’è andato dopo la disfatta di Monaco e gli anni felici, il bel gioco, il rapporto con i tifosi. Inzaghi se n’è andato per i soldi dell’Al Hilal. E a quel punto il tono suo giornali, dice Ziliani, cambia: si comincia a parlare “di scudetti buttati via, per non parlare della Champions, di un calcio vecchio, di un allenatore che avrebbe potuto fare di più. E ancora: di allenatori che scelgono i soldi, cosa che non va sempre bene e con bilanci finali non positivi. Avendo dato, soprattutto, meno di quanto hanno ricevuto dalla società che stanno abbandonando”. La società, dunque, Marotta, ne esce bene. Ancora una volta: “Dal mondo dell'informazione nel pallone è tutto: linea allo studio”.

