Il momento del ritiro, si sa, è sempre delicato per uno sportivo. Il rischio di tirare troppo la corda è sempre dietro l'angolo, ed è molto labile il confine oltre il quale un grande campione corre il pericolo di essere ricordato come l'ombra di sé stesso. La paura? Quella del futuro, dei riflettori che si spengono, dell'adrenalina che finisce. “Ho fatto pace con ciò che mi aspetta. È ora”, ha dichiarato Terence Crawford nell'annunciare il suo addio al pugilato. Ma nonostante i 38 anni d'età il pugile statunitense lascia il ring al culmine della carriera, dopo la vittoria più grande. Crawford passa ai libri di storia come l'unico campione indiscusso di tre categorie di peso. Ha unificato prima le cinture dei pesi superleggeri, poi quelle dei pesi welter, infine il doppio salto di categoria per detronizzare Canelo. A settembre all’Allegiant Stadium di Las Vegas e in diretta su Netflix è salito a 76 kg, nel regno di Saul Alvarez, dominatore indiscusso della categoria del 2021, per coronare la sua impresa più grande. La vittoria su Canelo ha significato il riconoscimento, fin troppo tardivo, di uno status. Numero uno della classifica pound for pound e migliore della sua generazione, questo è stato Crawford.
Il problema è che se ne sono accorti tutti troppo tardi. Un atleta passato sempre in sordina nonostante i risultati urlino lo status di leggenda vivente. 42 successi su 42, zero sconfitte, quattro categorie di peso attraversate, dominate. “Colpa” di una personalità poco appariscente, riservata, che non cede alle logiche della promozione e del trash talking che oggi dominano gli sport da combattimento. Una vita privata mantenuta tale, un'infanzia difficile che non viene sbandierata ogni due per tre. “Colpa” anche di uno stile di combattimento scomodo, cerebrale, difficile da affrontare. I grandi pugili hanno sempre evitato Bud fin quando possibile. Intelligenza naturale, un computer votato al combattimento. Terence Crawford osserva, attua e finalizza, con una fredda ed implacabile costanza. Per info chiedere a Erroll Spence Jr., detentore di tre cinture dei pesi welter brutalizzato in nove round nel 2023. Non il più potente, semplicemente il più bravo di tutti, il più tecnico, il più intelligente. Trovare i suoi punti deboli? Praticamente impossibile. Crawford plasma se stesso e le proprio caratteristiche in base all'avversario che si trova davanti, coprendo sempre il fianco. Caratteristiche che portano a match in crescendo, primo round sommessi, a caccia di dettagli da leggere e sfruttare nelle riprese successive. Nonostante abbia spesso vinto per ko, ben 31 volte, la maggior parte di questi sono arrivati infatti nei round conclusivi. Non un pugno di ferro, ma un lungo lavoro di precisione chirurgica. Anche per questo non è un pugile adatto agli highlights, un atleta da TikTok, da 60 secondi di celebrità.
Terence Crawford non si è mai snaturato, nella vita come sul ring, portando fra le corde uno stile di lotta rischioso. Non è sceso ai compromessi del circo moderno degli sport da combattimento, non ha mai accettato di trasformarsi in una macchietta, un personaggio da vendere. Nel suo discorso di addio ha detto di aver combattuto per sé stesso, per il ragazzo che era, forgiato da una madre severa, che metteva dieci dollari in palio per i ragazzini del quartiere sfidandoli a mettere a terra il figlio, nessuno ci è mai riuscito. Ha combattuto per la sua città, Omaha, nel Nebraska, dove è nato, è cresciuto ed ha scelto di rimanere. Non si è fatto sedurre dal luccichio dei grandi centri, da Los Angeles, New York e Miami. Del resto Omaha deve il suo nome alla tribù nativa americana che popolava la zona anticamente, nome che significa “coloro che vivono controcorrente”. È proprio questa la definizione perfetta per Crawford, un uomo che ha sempre vissuto controcorrente: “Non avevo altro che un sogno e un paio di guantoni e l’ho fatto a modo mio”. A modo suo come è questo ritiro, in sordina, all'apice della carriera dopo la vittoria più bella. Stride con il mondo scintillante del pugilato odierno, con gli annunci in pompa magna, i pugili-showman, il trono di Fury, le catene d'oro di Mayweather. Stride soprattutto con i cosiddetti money fight, quello di Mayweather contro McGregor, l'intero fenomeno Jake Paul. “Mi allontano dalle competizioni, non perché ho smesso di combattere, ma perché ho vinto un tipo diverso di battaglia. Quella in cui te ne vai alle tue condizioni”. Crawford lascia nel suo momento di massimo riconoscimento, il pugilato è una vocazione, non una mucca da mungere allo sfinimento. Lo sport non è stato un ascensore sociale, un mezzo per arricchirsi, ma uno strumento di emancipazione, per fare della sua vita ciò che desidera. Un campione libero. Come al solito ha parlato poco, anche nell'annunciare il ritiro, un breve video dove spiega le sue motivazioni e tira brevemente le somme. Le buone abitudini rimangono. Fa rumore l'indifferenza generale con cui è asceso fino all'apice della nobile arte e con cui, timidamente, se ne va. A parlare rimane la carriera, quella sì scintillante e immacolata, di uno dei più grandi di sempre.