Davide Tardozzi, Team Manager Ducati Corse, urla addosso a una telecamera Dorna con tutta la voce che ha in corpo: “Il capolavoro del campione del mondo”. È la domenica di Jerez, del Gran Premio di Spagna. Probabilmente Tardozzi ha ragione, Francesco Bagnaia ha appena scritto il suo capolavoro. Eppure Pecco sembra non essersene accorto, principalmente perché in quella domenica non ha fatto niente di nuovo, niente di mai visto prima: Marc Marquez lo aveva già battuto con testa e manetta ad Aragon, nel 2021, in quella che fu la sua prima vittoria in MotoGP. E anche una rimonta clamorosa l’ha prodotta più volte, l’ultima in Indonesia lo scorso anno dov’era partito 13° per poi vincere la gara della domenica. Uno potrebbe dire che a fare grande questa vittoria è stato il momento, perché la reazione alla tendenza - negativa, considerando Portimão e Austin - conta più del risultato in sé. Lui, che in questo GP di Spagna non ci ha visto il capolavoro, può rispondere che riprendersi 91 punti da Fabio Quartararo nel 2022 è stato un lavoro più grande, più duro. In breve: forse Bagnaia vorrebbe dire al mondo che questo è il suo standard, di non stupirsi quando vince una gara così.
D’accordo, può darsi. A Jerez però ci ha dato tutto in una gara soltanto. La partenza della vita, un doppio sorpasso all’esterno che non si vedeva dai tempi della 125, la lotta di nervi con Jorge Martín che perde concentrazione e scivola, il giro veloce a tre dalla fine, la guerra con Marc Marquez. Che è stata bella perché lo spagnolo arrivava forte, ne aveva di più, sembrava fosse pronto a divorarsi tutto nella sua pista e davanti alla sua gente. E invece Pecco, “vieni qui che non ti faccio niente”, l’ha fatto avvicinare solo per menarlo. Due sportellate come in Portogallo, al che Marc ha capito che quell’altro sarebbe stato disposto a stendersi ancora pur di non farlo passare. Così lo spagnolo, che di gare ne aveva già buttate via troppe su questa Ducati, ha preferito chiudere. Eccolo lì, il capolavoro. Tutto insieme, distillato in una clessidra da quaranta minuti.
Davide Tardozzi dice che è un capolavoro e con lui siamo d’accordo in tanti, ma come lo misuri un risultato simile? Probabilmente la differenza tra lo sport e l’arte è che per il primo il risultato supera il significato. In altre parole: lo sport è oggettivo, quantificabile, traducibile. Nell’arte il significato supera gesto tecnico e punteggio.
Certo, per attribuire un valore artistico a una gara di moto bisogna avere una bella ossessione per questa roba. Bisogna poi averne viste un bel po’ e averle catalogate, in qualche modo, nella memoria, tra risultati e significati. A pensarci bene una corsa come questa non è tanto diversa dall’arte concettuale, di una bellezza inequivocabile per qualcuno e incomprensibile per altri.
A riprova del fatto che Bagnaia ha scritto il suo capolavoro è il regalo, forse inatteso e sicuramente spettacolare, di Valentino Rossi, che ha messo nelle mani del suo golden boy un casco di quelli suoi, di quelli veri che hanno sentito la velocità nel suo ultimo anno di attività in MotoGP.
Valentino di gare ne ha viste tante, di emozioni anche. Eppure una sensazione così potrebbe non averla provata mai. Pecco ha battuto Marc Marquez - che non solo partiva dalla pole position dopo oltre un anno, ma era anche favorito - e lo ha battuto in casa sua, con una Ducati contro una Ducati. Ora che, Marc, il nemico di sempre, sta provando a fare quello che a Vale non è riuscito nel 2015, sapere che a fermarlo c’è proprio Pecco deve averlo fatto impazzire. Una goduria larga, enorme. Sulla visiera del casco sembra ci sia scritto qualcosa sul fare il culo a qualcuno e questo ci dice un paio di cose di Valentino: non è fan di Marc Marquez, non è fan del perdono. È fan, invece, di quelle gare lì, sanguigne, in grado di ribaltare il pronostico e far impazzire la gente. Quelle gare lo hanno reso più grande dei suoi mondiali e a Pecco, un pochino, mancavano quelle per arrivare lassù, tra gli dei del motore che di uno sport riescono a fare, di tanto in tanto, l’arte.