Se si mettesse a raccontare la sua vita, le persone che ha incontrato, i personaggi con cui ha condiviso pezzi di storia e pure tutto quello che gli è capitato, lo scambieremmo per uno che se le inventa. Già, perché la vita di Roberto Locatelli è stata piena di brutto. E viene quasi difficile credere che in soli 50 anni (neanche ancora compiuti) si potessero racchiudere tutte quelle esperienze lì. Invece è tutto vero e il Loca, nella lunga chiacchierata fatta con quel maestro del mestiere del raccontare, che è Paolo Beltramo, snocciola ricordi pazzeschi mentre si prepara al mezzo secolo e al bilancio che inevitabilmente tutti fanno quando si avvicinano ai 50. Tanto che la chiusa, ossia la risposta all’ultima domanda che mette fine al pezzo, diventa la parte più bella e intensa di una lettura che trasuda emozione. “Se ci potessero essere dei cloni di Roberto locatelli – racconta l’ex campione del mondo, ammettendo di averne vissute veramente tante – non avrei mai mollato i lavori che ho avuto: mi piacerebbe essere ancora in Gilera con Marco Simoncelli, a lavorare da Valentino Rossi, a fare il commentatore, a correre e vincere per Vasco Rossi. Insomma, non riesco a stare dove avrei voluto restare per tutta la vita. E’ una cosa positiva, ho sempre cambiato per fare qualcosa in più, ma se potessi essere cento Locatelli starei in ognuno dei posti dove sono stato, perché ci sono stato bene”.
Portarsi via bei ricordi e lasciare un bel ricordo. Quasi un talento, quello di Locatelli, superiore persino al talento che gli ha permesso di andare forte in moto e di laurearsi campione del mondo, con una squadra privata. Non di un imprenditore qualsiasi, ma di Vasco Rossi. Del suo rapporto con il rocker di Zocca aveva già raccontato a MOW qualche tempo fa, spiegando – come poi ha ribadito pure a Beltramo – di essere l’unico a potersi vantare di essere stato l’operaio dei due Rossi più fighi del mondo: Valentino e Vasco, appunto.
Perché dopo gli anni da pilota, il Loca è diventato punto di riferimento anche per Valentino Rossi e i pilotini dell’Academy: “Ero a Sky a quei tempi e avevo fatto una gran fatica a diventare commentatore. Stavo bene con Guido Meda, ma fui chiamato da Nieto per fare il coach da Valentino Rossi. Da una parte speravo che Meda non mi lasciasse andare, ma dall’altra ero entusiasta. Vale ho imparato a amarlo quando ancora correvo, sono stato tra i primi a capire che per tutti noi sarebbe stato una luce, non una nuvola che ci faceva ombra. Max Biaggi? Lui è uno meno aperto, ma ha dato tantissimo al motociclismo. La cura migliore per i supercampioni è quando smettono e si guardano indietro e a fianco, non solo davanti. Secondo me quando siamo soli in bagno, che è il luogo più intimo che ci sia, ci rendiamo conto di essere molto simili agli altri”.
La fame di vincere, la voglia di crescere, intesi come il bene delle corse. Quello che Roberto Locatelli persegue ancora, adesso come pezzo fondamentale del Team Fantic in Moto2. Il sogno? Manco a dirlo: è la MotoGP. Arrivare più su, quindi, anche grazie alle esperienze già fatte e ai percorsi condivisi.
Lui, Roberto Locatelli da Bergamo, ne ha condivisi persino con Gigi Dall’Igna: “Witteveen, il genio dell’Aprilia, aveva un collaboratore che si chiamava Gigi Dall’Igna. Faceva la 125, era agli inizi e da lì ha fatto solo cose bellissime, con Derbi, poi con Aprilia in Superbike, poi di nuovo con le 250 e ora con Ducati. Insomma, se ci fosse un adesivo di Dall’Igna andrebbe appiccicato su diverse moto”. Di adesivi, in questo mondo che alla base di tutto avrà ancora e sempre la passione, invece, se ne trovano tanti di un altro che con Locatelli ha condiviso un pezzo di strada. L’unico il cui ricordo, per un attimo, sembra far sbiadire quell’eterno sorriso entusiasta che il Loca ha stampato in faccia: Marco Simoncelli. “Tre anni insieme – ha racontato – l’eccezionalità di Marco l’ho vissuta, ad esempio, in un mio compleanno. Aveva la sua morosa Kate qua a Bergamo, ma si presentò alla mia festa senza che lo avessi invitato. Preciso: mi fece un gran piacere, io pensavo che il Sic alla mia festa non sarebbe mai venuto e per questo non lo avevo invitato. Le nostre abitudini e le nostre età erano diverse, lo vedevo alle corse dove avevo la fortuna di essere suo compagno di squadra. Così non avevo pensato di invitarlo al mio compleanno, da quel Locatelli della bergamasca. Invece è venuto senza dirmelo, facendomi una sorpresa e diventando quasi il più bel regalo di quel compleanno per me e anche per i miei amici. Marco come avversario era fortissimo, come compagno è stato uno dei migliori che abbia mai avuto: nonostante fosse famoso, nonostante fosse il personaggio che tirava in quel momento, è sempre rimasto il Marco Simoncelli che era”.