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“I MIGRANTI? ALL’EUROPA NON IMPORTA NULLA”: Intervista bomba a Domenico Quirico: “In Libia? Un ricatto, paghiamo per bloccarli”. Israele? “Non accetterà mai un governo palestinese…”

  • di Angela Russo Angela Russo

23 maggio 2025

“I MIGRANTI? ALL’EUROPA NON IMPORTA NULLA”: Intervista bomba a Domenico Quirico: “In Libia? Un ricatto, paghiamo per bloccarli”. Israele? “Non accetterà mai un governo palestinese…”
Migranti usati come scudi, diritti umani barattati per un po’ di quiete. Con Domenico Quirico abbiamo parlato di Libia e Medio Oriente: due polveriere che ci riguardano da vicino. E un’Europa che chiude gli occhi, purché i problemi restino fuori

di Angela Russo Angela Russo

L’instabilità politica in Libia e il conflitto tra Israele e Palestina continuano a esercitare un’influenza diretta sugli equilibri internazionali, toccando da vicino anche l’Italia. In entrambi i casi, l’Occidente – e in particolare l’Unione Europea – ha assunto un ruolo incerto: presente sul piano diplomatico e degli interessi economici, ma spesso contraddittorio quando si tratta di affrontare le cause delle crisi. In Libia, la situazione resta caotica. Dopo la caduta di Gheddafi, il Paese non è più stato veramente stabile. Il Paese è diviso tra gruppi armati, governi deboli e interessi stranieri. L’Italia, legata alla Libia da questioni strategiche come l’energia e i flussi migratori, ha stretto negli anni una serie di accordi – spesso criticati – per contenere le partenze di migranti. Il prezzo di questi accordi, però, ricade a volte sui diritti e sulle condizioni di vita di migliaia di persone bloccate nei centri di detenzione libici. Dall’altra parte del Mediterraneo, il conflitto israelo-palestinese continua, con centinaia di migliaia di civili palestinesi uccisi. Ma si riuscirà mai a trovare una soluzione? Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la reazione durissima di Israele, si è aperta una fase ancora più dura e polarizzata, che sembra aver chiuso definitivamente qualsiasi spazio per una soluzione negoziale basata sulla convivenza. Per approfondire questi temi e capire meglio quali conseguenze avranno per l’Italia e per l’Europa, abbiamo chiesto a Domenico Quirico, giornalista e reporter de La Stampa, caposervizio esteri, da anni testimone diretto delle crisi che attraversano il Mediterraneo e il Medio Oriente. 

Domenico Quirico
Domenico Quirico

Quirico, qual è l'attuale situazione in Libia?

La situazione della Libia è facilmente decifrabile, nel senso che c'è una spartizione del Paese che dura ormai da parecchi anni, immediatamente dopo la caduta del regime di Gheddafi e l'inizio della lotta tra le fazioni che avevano partecipato a questa guerra civile. Diciamo: la Cirenaica è nelle mani di questo generale Haftar, che è appoggiato dall'Egitto, dal Qatar, dalla Russia e che però non è riuscito a conquistare il controllo del Paese, come forse speravano anche alcune cancellerie occidentali, che avevano visto in lui un buon sostituto, dal punto di vista dei loro interessi, di Gheddafi, con cui continuare la gestione dei due problemi fondamentali per noi: il petrolio e il controllo dell'immigrazione. La parte della Tripolitania è invece sotto le false vesti di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, non si sa bene sulla base di quali principi, gestito in modo molto caotico e con frequenti scoppi di scontri armati, gli ultimi sono dei giorni scorsi, tra alcune bande criminali potentemente armate, delle fazioni che dispongono di micro-eserciti e che controllano l'economia del Paese, il contrabbando o la vendita del petrolio e del gas. Il governo, formalmente riconosciuto anche da noi e dalle cancellerie europee, riceve un appoggio indispensabile per poter restare in piedi, altrimenti cadrebbe nel giro di due ore. Questa è sostanzialmente la situazione.

Tutto questo che conseguenze avrà sull'Italia?

Gli accordi con cui l'Italia è stata pioniera, prevedevano di delegare, in cambio di denaro e di appoggio politico, il controllo dell'emigrazione a queste bande armate, perché il governo è semplicemente un aspetto formale della situazione. Nonostante tutto questo caos. E tutto ciò perché l’estrazione, la vendita e l’invio del petrolio restano in piedi: sono una necessità anche per queste bande criminali e per il generale Haftar. Altrimenti resterebbero senza mezzi di sostentamento. Questo è sostanzialmente ciò che ci interessa. Quindi che la banda armata X abbia sopravvento sulla banda armata Y, e che il controllo dei cosiddetti campi di accoglienza dei poveri sia affidato all’uno o all’altro, vista la natura identica di questi personaggi, che ripeto è puramente criminale, a noi sostanzialmente non interessa.

Il governo italiano, dopo il caso di Al-Masri, il capo della polizia libica che è considerato un carnefice di migranti, non ha influenza in quello scenario? E poi l’Italia finanzia la guardia costiera libica che viene accusata di numerosi reati...

Come ho detto prima, il fatto che Al-Masri, che è uno che gestisce il controllo e lo sfruttamento dei migranti, sia capo della polizia, ministro degli interni o prefetto, per noi non cambia niente. L'importante è che continui ad adempiere all'accordo che abbiamo fatto. Di lì non si esce. L’Europa ha accettato questo tipo di rapporto, non è che sia un’idea venuta a Minniti, piuttosto che a Piantedosi, o a quello che c’era prima di Piantedosi. A noi della sorte dei migranti, anche l’Unione Europea, non importa un accidente di niente. L’importante è che non ci diano fastidio, che non si presentino corporalmente di qua. Se poi chi impedisce questo lo fa in modi criminali… pazienza, il mondo va così. L'unico atteggiamento etico, se vogliamo dare a questa parola un po’ antiquata un senso, sarebbe disconoscere il nostro rapporto con queste persone, il rapporto dell’Europa con queste persone. Ma siccome questo ci porterebbe a dover gestire di nuovo, senza filtri, il flusso migratorio, questo non lo farà mai nessuno.

Najim Osama Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica
Najim Osama Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica

Ma dopo l’uccisione di Gheniwa e il caos a Tripoli dobbiamo aspettarci un aumento degli sbarchi?

No, dipende dal tipo di trattative che avvengono tra noi e loro. Se noi paghiamo, e magari si chiedono aumenti, bene e non arrivano. Altrimenti… è una forma di ricatto. Ma lo faceva anche Gheddafi: minacciava un giorno sì e uno no. Diceva: “Se non mi date retta, se non fate accordi con me, se non mi togliete la fama di capo del terrorismo universale che mi avete dato, se non togliete le sanzioni, io apro le porte”. C’erano già i campi di concentramento dei migranti, e Gheddafi li usava come minaccia. Questi fanno esattamente lo stesso. Se non li paghiamo o se creiamo loro dei problemi, lasciano partire i migranti. Se invece tutto funziona bene, chiudono le porte e non parte nessuno. È un contratto. Un contratto di diritto civile, mi verrebbe da dire, o di diritto commerciale, che è poi sostanzialmente l’unico tipo di relazioni che noi abbiamo con questa parte del mondo, gestita da criminali, da banditi, da malviventi. L’importante è che rispettino gli accordi che hanno con noi e ci diano quello che ci serve. Poi che facciano quello che vogliono, dei loro cittadini, di quelli che non sono loro cittadini ma sono passati di lì perché volevano venire di qui… questa è la realtà del XXI secolo. Io la politica etica, morale, non l’ho mai trovata da nessuna parte. Saremo anche le democrazie dell’Occidente, però quando ci rivolgiamo agli altri il concetto di democrazia dell’Occidente lo usiamo come slogan.

Intanto è avvenuto un attentato a Washington, come valuta questo duplice omicidio di diplomatici israeliani? Esiste un rischio di emulazione di questo tipo di gesti?

Certo, può essere stato un fuori di testa, un atto impulsivo. Ma evidentemente quando ci sono delle situazioni di grande eccitabilità legate agli eventi tremendi come l’attacco di Hamas... Non mi sembra che ci sia dietro una trama organizzata. Non mi pare che ci sia il Jihad dietro questo tizio che ha sparato, purtroppo, a questi due poveretti. È un fuori di testa, uno che è eccitato da quello che vede in televisione, dalle notizie che vengono date. Finché non si viene a capo di questa tragedia, è possibile che qualcun altro ripeta questi gesti. Poi l’antisemitismo non è mai finito: ha dei balzi in avanti, dei balzi verso il basso, a seconda di quello che succede nel Vicino Oriente, nei rapporti tra Israele e i suoi vicini.

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Trump e Netanyahu

Secondo lei Stati Uniti, Germania e Italia, rispetto al conflitto in corso, sono effettivamente complici, come sostiene parte dell'opinione pubblica?

il rapporto degli Stati Uniti con Israele è un rapporto che non si dissalderà mai. Non ci sarà mai nessun presidente americano, che sia repubblicano o democratico, che reciderà il suo rapporto con Israele, per varie ragioni: la potenza della lobby della comunità ebraica negli Stati Uniti e quindi sulla politica e sulla direzione del presidente. Il secondo fatto è che gli Stati Uniti non troveranno mai nel Vicino Oriente un alleato disciplinato, efficiente e potente come Israele, e quindi non lo abbandoneranno mai. Poi possono avere delle forme molto esteriori di disapprovazione e di censura, ma che poi non portano in realtà a niente, come è ben dimostrato sia all’epoca di Biden sia all’epoca di Trump. Non è cambiata la politica americana: che uno fosse democratico e buono, e l’altro fosse un repubblicano scemo, non è cambiato nulla. Alla fine dicono: “Non fate così, siate un po’ più carini”, ma poi alla fine non cambia nulla. Per quanto riguarda la Germania e l’Italia: la Germania ha qualche riflesso condizionato nel rapporto con Israele, con la comunità ebraica e con la religione ebraica, che sono quelli che ben conosciamo. Quindi sembrerà molto attenta, ma in realtà è paralizzata dal passato. Per quanto riguarda noi, posso dire la verità? Noi non abbiamo una politica estera. Non l’abbiamo mai avuta dal 1945 a oggi. Quindi andiamo a rimorchio: ora degli Stati Uniti, ora dell’Europa, a seconda che ci sia un governo di centrodestra o uno di centrosinistra. A parte che è totalmente irrilevante, dal punto di vista pratico, sia per la Germania che per l’Italia, sulla situazione drammatica, tragica, tremenda del Vicino Oriente. Siamo irrilevanti. Che cosa facciamo? 

Presto, comunicano dall’Autorità Nazionale Palestinese, ci sarà un dialogo con Papa Leone XIV su Gaza e si dicono pronti a un’intesa con Israele. Quella di due popoli in due Stati sembra un'idea ormai lontana. O secondo lei, sarebbe ancora possibile?

L’ipotesi di due popoli in due Stati non è mai esistita come possibilità pratica, per il semplicissimo motivo che sia Israele, sia i palestinesi vogliono tutta la Palestina. Non a pezzetti, a frammenti, a lembi o a sezioni. Quindi questa possibilità non è mai esistita. L’idea di due popoli in due Stati, tra progetto e realizzazione, è sempre stata una gigantesca mistificazione, inventata da noi per far vedere che avevamo un’idea per risolvere un problema insolubile da 76 anni. Quindi, già questa storia dei due popoli in due Stati… dopo il 7 ottobre quella cosa lì, se mai avesse avuto anche lo 0,0001% di possibilità, è totalmente defunta! Totalmente defunta, per la percentuale di violenza reciproca che l’attacco di Hamas ha determinato, e di odio reciproco. Ma lei si immagina Israele che accetta uno Stato palestinese a Gaza dopo quello che gli è capitato? La soluzione? Prendere gli 800mila coloni messi in Cisgiordania, proprio per impedire antropologicamente la nascita di uno Stato palestinese, e invitarli ad andarsene perché lì deve nascere lo Stato palestinese? Ma suvvia!  Ma di che stiamo parlando? Tutte queste robe sono delle chiacchiere, gigantesche chiacchiere. Anche perché l’Autorità Nazionale Palestinese attualmente è zero. È stata spazzata via, purtroppo.

Abu Jahed, che è la seconda figura dell’Autorità Palestinese, si dichiara pronto ad accettare un accordo per uno Stato unico, nel quale tutti i cittadini abbiano uguali diritti. Può essere una opzione?

Secondo lei Israele accetterà? Evidentemente la soluzione di uno Stato unico sarebbe perfetta. C’è un piccolo problema: se c’è uno Stato unico, in cui i cittadini hanno tutti gli stessi diritti, tra dieci anni il primo ministro dello Stato israelo-palestinese sarebbe un palestinese! Gli israeliani non accetteranno mai, mai, un governo palestinese! Dai, suvvia! Siamo realisti. Poi, se vogliamo credere alle utopie, ma per carità, possiamo fare lo Stato universale domani mattina! Tutto è possibile. Peccato poi che la pratica sia leggermente diversa.

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