Aldo Grasso, sul Corriere della Sera, ha lanciato una provocazione tanto ironica quanto pungente: “Mi permetto di invitare il ministro Carlo Nordio a prendere un provvedimento d’urgenza e a trasformarlo, quanto prima, in legge dello Stato”. Di cosa parla? Della necessità, secondo lui, di distinguere formalmente i processi “canonici” da quelli “mediatici”, o meglio ancora, precisa con ironia, “mediali”, perché “mediatici è un calco dal francese médiatique”.
Nel mirino del critico televisivo c’è la sempre più insistente esposizione televisiva di alcuni avvocati, in particolare Antonio De Rensis, difensore di Alberto Stasi nel “caso Garlasco”. “Chi era il primo ospite del programma Filorosso, condotto su Rai3 da Manuela Moreno? Ma naturalmente Antonio De Rensis”, scrive Grasso, aggiungendo che l’avvocato ormai “bivacca in video, mattino, pomeriggio e sera”. Nessun reato, tiene a sottolineare, “se non quello di influenzare l’opinione pubblica”. Quando la conduttrice gli fa notare che si dice in giro che sia onnipresente in tv, De Rensis si difende così: racconta di essere già stato protagonista di altri “processi mediali” (Grasso insiste: “mediali, per favore”) e confessa che, per far fronte a tutto, dorme solo quattro ore a notte. Una frase che non passa inosservata e che, nella lettura di Grasso, contribuisce a scolpire il ritratto dell’“avvocato mediale, con tanto di biglietto da visita”.

Il programma Filorosso, secondo Grasso, ha aperto e chiuso con il “Caso Garlasco”: “con un giornalista che accusa la mancanza di un Maigret nelle indagini (chi manca, in verità, nella confezione dei programmi è un Simenon), con l’immancabile criminologa e con niente di nuovo”. Eppure, osserva amaro, “il sangue di Garlasco fa audience”.
Nel mezzo, spazio a un altro tema caldo come il Pride di Budapest, raccontato in studio da Vladimir Luxuria, Stefano Zurlo, “tra politici, manager e amici vip”. Grasso chiude con una battuta che lascia poco spazio all’immaginazione: “Filorosso molto ortodosso”.

E qui arriva la stoccata, la prima: “Spesso, certi giornalisti hanno la tendenza, nel commentare i mali del mondo, a proporsi come ‘duri e puri’”. Poi una seconda: “La nostra società, per mezzo della magistratura, non potendo estirpare il male dell’avidità, esige la soppressione dell’oggetto che la suscita, a volte sbagliando anche bersaglio, come sta succedendo con la doverosa ricostruzione dello stadio di San Siro”. Ma in chiusura arriva il bello, con un post-scriptum che tutti aspettavamo: “Molti lettori mi spingono a chiedere a Al Bano di devolvere tutto o parte del cachet messogli a disposizione da Vladimir Putin alla Croce Rossa dell’Ucraina. Non sta a noi entrare nelle coscienze e nella sensibilità dei singoli. Al Bano faccia come crede ma viva Romina”.