Signori, lasciate perdere la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Se fossimo a una cena di gala non si tratterebbe neanche di un antipasto. Forse giusto un brindisi di benvenuto nel locale e niente di più. Ok, i giornali e i tg di mezzo mondo si chiedono cosa diavolo succederà con le tariffe che Donald Trump ha scagliato prima contro decine e decine di Paesi, poi soltanto contro la Repubblica Popolare Cinese. E allora chiediamocelo anche noi che cosa succederà: pagheremo di più i nostri iPhone e Mac? Aumenteranno i costi dei prodotti alimentari? Diremo addio al made in China low cost che tanto ha arricchito le nostre case dagli anni '80 fino all'altro ieri (per la gioia dei nostri portafogli, meno per quella degli imprenditori occidentali)? Gli economisti studiano la situazione, elaborano possibili scenari e poi quel burlone di Trump cambia completamente piano costringendo gli esperti a rivedere tutto nei minimi dettagli. La sfida economica tra Washington e Pechino è in primis una gara a chi ce l'ha più lungo. Gli Stati Uniti, potenza egemone del pianeta dal termine della Seconda Guerra Mondiale, non hanno alcuna intenzione di accogliere al tavolo dei grandi la Cina, pronta a diventare a sua volta prima potenza economica del globo terracqueo. E poco importa se le multinazionali Usa sono diventate ricchissime grazie alla globalizzazione e al lavoro sottopagato in Cina: gli americani (o meglio i Make America Great Again) sono stufi di importare da oltre la Muraglia molto più di quanto le loro aziende esportano nell'immenso mercato cinese formato da oltre 1,4 miliardi di persone. Potremmo quindi limitarci a unire questi punti e sintetizzare il discorso così: è colpa dell'economia. Sbagliatissimo, o meglio, vero solo in parte. La posta in palio nel confronto Stati Uniti-Cina è molto, molto più grande.


L'economia che interessa a Stati Uniti e Cina non riguarda smartphone e auto elettriche, Tesla e Byd, dollari e yuan, Apple e Huawei. C'è ovviamente anche da considerare una componente del genere, ma viene dietro tanto altro. Gli Usa hanno capito che di questo passo non potranno tenere il ritmo dei cinesi. Per quale motivo un Paese che – dati del 2023 - ha un pil pro capite di circa 65.875 dollari dovrebbe mai temerne uno che arriva a mala pena a 12.000 dollari, a poco più di di 22.00 dollari a parità di potere d'acquisto? Perché l'economia non è più soltanto un affare che si misura con i consumi interni. Puoi essere ricco quanto ti pare ma se il tuo Paese non ha accesso alle risorse che servono per alimentare i nuovi settori hi-tech – quelli, per intendersi, che a loro volta alimenteranno l'economia del futuro: dal green all'Ia, dai big data al 6G – e deve importare tutto dai rivali, beh, sul monitor prima o poi apparirà la scritta game over. È successo proprio così. Illusi dalla sindrome dei numeri uno e affogati dalla cupidigia dei loro imprenditori, gli Stati Uniti hanno finito per perdere il controllo dell'economia mondiale cullandosi nella vana idea che potesse bastare fare affidamento a una supply chain iper frammentata. Peccato che le catene di approvvigionamento, quelle che coinvolgono le fasi necessarie per produrre e distribuire i prodotti principali, dalla materia prima fino al consumatore finale, siano saldamente nelle mani della Cina. Detto in termini ancora più semplici, gli Stati Uniti hanno dilapidato qualsiasi vantaggio, smantellato intere industrie, sacrificato il proprio tessuto economico per investire proprio oltre la Muraglia. Ecco: Trump vorrebbe tornare indietro. Vorrebbe che si tornasse a produrre negli Usa, far tornare gli Stati Uniti di nuovo grandi e bloccare così l'emorragia di dollari che sta dissanguando la classe media statunitense.

Sarà tuttavia impossibile farlo senza scatenare una guerra vera e propria, con missili e cannoni più che con dazi, tariffe e calcolatrici. Considerando che Trump potrebbe presto accordarsi con Putin per chiudere l'affare Ucraina, il Pentagono avrebbe modo di riorganizzarsi per colpire il vero rivale degli Usa: la Repubblica Popolare Cinese. Sono già partite le “prove tecniche” per provocare il Dragone. I dazi, per il momento, si sono limitati a far infuriare Xi Jinping senza generare altre reazione (eccezion fatta per i contro dazi di Pechino): il casus belli economico difficilmente funzionerà contro un nemico come quello cinese. La Cina potrebbe davvero perdere la ragione soltanto in un caso: se qualcuno dovesse superare la linea rossa di Taiwan. Parliamo dell'isola che nessuno al mondo riconosce come Stato indipendente (tolti il Paraguay, il Vaticano e una manciata di altri Paesi secondari tipo Palau e Tuvalu) ma che tutti, almeno a parole e quando non bisogna strappare un accordo conveniente con i cinesi, si ostinano a riconoscere come tale. La Cina ovviamente la considera come parte integrante del proprio territorio e non ammette repliche. Altro che dazi: ecco la leva che, se attivata, potrebbe veramente portare Xi a scatenare un conflitto. Nel frattempo Volodymyr Zelensky ha fatto sapere che Kiev ha appena catturato un soldato cinese: pare che questo tizio avesse scelto di arruolarsi con i russi per combattere contro gli ucraini ma Pechino - che si è sempre tenuta alla larga dal tema Russia-Ucraina - non vuole essere tirata in mezzo a un dossier così delicato. Insomma, tra tariffe, accuse di combattere indirettamente contro gli Stati Uniti in Ucraina e Taiwan, lo stratega Xi potrebbe alla fine davvero emulare l'amico Putin.
