Contrapporre lavoratori dipendenti e partite Iva impone un calcolo sbagliato sul fronte economico che sottende, al massimo, un giudizio politico sul ruolo del lavoro nella società odierna. Soprattutto da Sinistra, va detto, la recente (e eccessivamente discussa) proposta di Legge di Bilancio del governo Meloni ha promosso delle critiche radicali e spesso eccessivamente inquadrate. La manovra, si è detto, favorirebbe troppo le partite Iva a danno dei lavoratori dipendenti. Contro cui per Dagospia, testata di riferimento dell’opposizione all’esecutivo, sarebbe stata addirittura “dichiarata guerra”.
Ma è davvero così? Recentemente abbiamo avuto modo di analizzare come i vincitori della manovra siano essenzialmente le partite Iva a reddito medio-alto. In soldoni, quei 100mila contribuenti con fatturati compresi tra i 65mila e gli 85mila euro che si vedranno applicata la tassa piatta al 15% sui ricavi. Poco o nulla va al popolo delle piccole Partite Iva, per cui l’auto-imprenditoria non è più, come fino a un decennio fa, un nuovo status symbol sociale. Anzi, spesso rischia di sovrapporsi a condizioni di indigenza maggiormente probabili rispetto a quelle dei dipendenti.
Secondo quanto sottolineano i dati Istat sul mercato del lavoro pubblicati a ottobre emerge che la percentuale di famiglie italiane con redditi da lavoro autonomo che a fine 2021 si trovavano a rischio povertà era maggiore di quelle che basavano il proprio bilancio sun reddito da lavoro dipendente. In quest’ultima categoria la quota di coloro che si trovava a rischio povertà o esclusione sociale al 31 dicembre scorso era pari al 18,4%, mentre quella delle famiglie con reddito da lavoro autonomo era il 22,4%. Più alto solo il dato delle famiglie che vivevano di pensione, il 33,9% delle qali è a rischio esclusione sociale sulla base delle statistiche emerse nel 2021.
E sul fronte dei posti di lavoro se da un lato complessivamente in Italia abbiamo recuperato il numero degli occupati rispetto all’era pre-Covid – i cittadini con un impiego sono saliti di 56mila unità fra febbraio 2020 e agosto 2022 – dall’altro gli autonomi hanno subito una falcidia. Nei trenta mesi interessati dall’analisi il numero dei lavoratori autonomi è sceso di 155 mila unità e l’incremento occupazionale è stato dovuto essenzialmente alla crescita numero dei dipendenti è aumentato di 211 mila unità, a sua volta fortemente sbilanciato su una crescita notevole del lavoro a tempo rispetto all’occupazione di matrice indeterminata.
La partita Iva per molti lavoratori non è più un punto di arrivo ma uno di partenza. Per altri un ripiego utilitaristico scelto dai datori di lavoro di fatto per mascherare occupazioni di fatto subordinate. Complice, nota uno studio della Cgia di Mestre, “l’età non più giovanissima” di molti lavoratori “e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero”. Quando ad aprire la partita Iva è un giovane si è creata un’inversione dei termini. In passato, “l’opinione pubblica collocava un neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”.
Un tempo c’era la possibilità di essere i “capi di sé stessi”, c’erano la libertà di scelta, di movimento, di organizzazione del lavoro per la possibilità di allestire il proprio ufficio anche in casa propria, di gestire autonomamente il proprio tempo. Oggi c’è la difficoltà di muoversi in un sistema che funziona a singhiozzo, in cui la crisi economica riduce gli incassi anche in presenza di fatturato e in cui la pandemia prima e la crisi energetica poi hanno ridotto le prospettive economiche di un sistema in cui le Partite Iva a reddito medio e basso sono estremamente vulnerabili. La tassazione agevolata non compensa gli effetti dei cali di redditività del lavoro, l’assenza di tutele all’infuori dei bonus estemporanei promossi in questi anni, l’ansia e lo stress psicologico accumulati da centinaia di migliaia di lavoratori indipendenti (il 70% dei 5 milioni di Partite Iva è imprenditore individuale) e un abuso del meccanismo della Partita Iva per coprire forme surrettizie di sfruttamento del lavoro hanno creato un combinato disposto problematico. Per la cui risoluzione nessuno dei governi succedutisi dall’era Covid in avanti ha fatto assolutamente nulla.