Proviamo a prenderla con filosofia, filosofia siciliana, di più, con spirito di generosità. Oh, “amara terra mia”, direbbe qualcuno, giusto per citare la voce di “Mimmo” Modugno, che all’inizio della carriera si trovò costretto per ragioni spettacolari a farsi credere siciliano, lui che era invece pugliese di Polignano a Mare, e infatti i suoi conterranei se ne ebbero molto a male. In Sicilia, si sappia, storie di ordinaria abitudine popolare, a chiunque si mostri importuno o distratto, o addirittura sognatore, perfino aspirante artista o speleologo delle umane interiorità viene rabbiosamente urlato contro un sonoro: “Va’ travagghia!” Ossia: vai a lavorare, così evocando la zappa del riscatto dal discutibile dolce far niente, dolce come il nostro Domenico. Venne detto anche in direzione della mia persona chissà quante volte, e chi me lo urlava aveva i toni dell’evidente severo scherno accusatorio per il fatto stesso che avessi scelto non la vanga o il trattore semmai una professione, diciamo così, “intellettuale”, cioè “di concetto”, li ricordo ancora i giudicanti seduti al bar “Catalano” di via Abruzzi a Palermo, forti e orgogliosi del fatto che il fratello ciclista dei titolari avesse vinto negli anni Sessanta, benché gregario, addirittura una tappa del Giro d’Italia, ciò avveniva quando mi vedevano passare davanti al loro muretto con sottobraccio, metti, “Marxismo ed empiriocriticismo” di Lenin o magari “Le Côté de Guermantes” di Marcello Proust. Quindi adesso ben oltre il mio marxismo trascorso e dell’amore per il citato Marcel e relativa memoria della sua stanza rivestita di sughero per proteggersi dai rumori dei boulevards, alla fine riesco a comprendere perfino l’insofferenza piccata di Dolce Domenico, e chissà se anche lui, lì al paese, non lo chiamino Mimmo o Mimmetto.
Per chi non ne fosse al corrente, Polizzi Generosa non è un borgo qualsiasi, semmai sormontato di corona nobiliare; a ridosso dei giorni della grande guerra stava addirittura per consegnare a sé stesso un papa, il già segretario di Stato vaticano Mariano Rampolla del Tindaro, la posizione ostile dei polacchi risultò infine decisiva per fargli mancare l’elezione al soglio pontificio. E ancora, su un piano ben più prosaico, sappiate che il giornalista amichettista “di sinistra” Michele Serra, cui si deve, fra molto altro, il profumo “Eau de Moi”, firmato insieme alla compagna Giovanna Zucconi sotto il brand “Serra & Fonseca”, è originario di Polizzi; Serra Errante il cognome titolato per esteso. E qui l’albo d’oro del gotha cittadino potrebbe proseguire a lungo… Ah, dimenticavo, tra le altre figure eponime originarie va menzionato anche Antonio Rampolla, discendente della mancata Sua Santità, lui però intellettuale e militante anarchico, L'appellativo "Generosa", sappiatelo, venne concesso da Federico II, impressionato dall'ottima accoglienza ricevuta dalle locali plebi. Stiamo parlando, si sarà compreso, di un luogo storicamente notevole. Così fino a Domenico Dolce, l’altra metà del cielo di Gabbana, per dirla con il Grande Timoniere, che partendo dalle Madonie ha creato il proprio soglio imperiale della moda. Non meno segnate da valente orgoglio sicano (i siculi stanno a Catania e sue propaggini, si sappia ancora) le campagne pubblicitarie ispirate all’heimat proprio del nostro Dolce, tra “Divorzio all’italiana”, con Marcello Mastroianni con i baffi del barone autoctono Cefalù, a “Sedotta abbandonata” dove l’immenso Saro Urzì, rivolto alla canea cittadina, urla: “Incivili, retrogradi, calabresi!”. Oh, il debito semantico pubblicitario che Dolce “e quell’altro”, come opportunamente chiama Ottavio Cappellani il collega Gabbana, riconoscono alla Sicilia: schiaffi e carretti, maranzani, e coppole da pizzeria di Belmonte Mezzagno o Contessa Entellina, ficus, cactus, eucalipti e su tutto mutande e slip e culotte di seta nera, tende mosse dallo scirocco, e non meno regale dietro le persiane Monica Bellucci di luttuosamente nero vestita sospirante impliciti ditalini di conforto, e mentre dico questo, ripensando sempre a un tale scenario isolano, refrattario al mito del lavoro causa calura, mi viene in mente un fumetto di Wolinski, dove i cactus di Cefalù si ribellano alla mafia e al boss locale tal “don Cicio” (sic). Ma non vorrei adesso divagare troppo, sebbene la Sicilia, come insegna la sua letteratura, è ora e sempre fuori tema. Non si dimentichino ancora i molti spot del brand in questione dove proprio Domenico si mostrava bambino, e mentre quegli altri, suoi coetanei, stavano in piazza a giocare con la strummula, o a dedicarsi alla “salata”, crudele pratica autoctona che prescrive di trovare una vittima sacrificale bloccarla e riempirne il pisello di sale, lui invece restava lì, maternamente, a fare il sartino in miniatura, a ritagliare vestitini e vestitucci per bambole, modellini che in prospettiva avrebbero poi dato vita al suo estro e magari a intere collezioni, ma tutto ciò una volta andato via dalla sonnolenta Polizzi per giungere a Milano e alle passerelle con tutto il magnificat di luoghi comuni glamour e altre soddisfazioni come mostrarsi accanto a Naomi Campbell.
Dolce descrive una Polizzi Generosa, almeno nelle sue realtà giovanili, dimentica sia del lavoro sia della gloria trascorsa, non più un pensiero per il mancato pontefice Mariano, non una lacrima al cenno a quanti aghi e ditali egli avrebbe consumato per giungere infine alla gloria insieme a “quell’altro” con somma soddisfazione di selfie con nomi di rilevanza hollywoodiana che avrebbero addirittura innalzato la generosa Polizzi a implicita capitale planetaria di Facebook, con tutti i ragazzi onanisticamente perduti a sé stessi, gli occhi e le dita fissi sui cellulari, e quanto al resto dei doveri “’sta minchia!”. Io, personalmente, a questo punto, se solo fossi nei panni di Mark Zuckerberg, titolare di quel social, mi premurerei di realizzare uno spot proprio nella piazza di Polizzi Generosa, con tutta la sua bella gioventù, indifferente a ogni “Arbeit Macht Frei”, a guardare micetti, draghi di Komodo che assaltano un supermercato in Thailandia, culi e cosce al mare, la Meloni che ripete “strateggicamente”, Annalisa che canta “Mon Amour”, e ogni altra ludica stronzata, già che ci siamo potrebbe diventare la prossima campagna pubblicitaria di Dolce e “quell’altro”, con un’improvvisa generosa ascensione al cielo dello stesso Domenico che, come nuovo santo patrono locale, dica a tutti loro: “Va’ travagghia!”. Magari questo nuovo spot lo facciamo girare a Martin Scorsese, che pure lui a noi risulta originario di Polizzi.