Sotto il governo del cancelliere Friedrich Merz, la Germania mostra un volto diverso da quello che spesso racconta a Bruxelles. L’europeismo resta nei discorsi ufficiali, ma le decisioni concrete seguono un’altra logica: quella della difesa a oltranza dell’interesse nazionale, soprattutto quando in gioco ci sono le leve del potere finanziario. È in questo contesto che va letta la chiusura netta a qualsiasi ipotesi di rafforzamento della presenza di UniCredit in Germania, con il conseguente stop all’operazione su Commerzbank. Il messaggio, arrivato anche in modo piuttosto diretto, è che la banca italiana non è gradita. Lo ha fatto capire senza mezzi termini Sascha Uebel, vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Commerzbank, che ha invitato Andrea Orcel a vendere la partecipazione e a fare le valigie. E tutto questo mentre UniCredit, almeno formalmente, ha ottenuto il via libera dalle autorità di vigilanza per salire fino al 29,9% del capitale della banca tedesca. La soglia è ormai vicina, con il 28% già nelle mani della banca milanese, di cui una parte detenuta attraverso strumenti derivati. Andrea Orcel ha cercato il dialogo con Berlino, scrivendo direttamente al cancelliere e ad altri membri dell’esecutivo. Ha cercato di spiegare come una maggiore integrazione bancaria potrebbe rafforzare la competitività dell’Europa, offrendo vantaggi non solo economici ma anche politici. Un gruppo bancario paneuropeo, secondo la visione di Orcel, potrebbe diventare un punto di riferimento nei mercati globali, contribuendo anche alla stabilità dell’euro. Ma il gelo tedesco è stato evidente. Dietro il rifiuto c’è una visione che ricalca una vecchia linea di pensiero: l’Europa va bene, ma solo finché non tocca i nervi sensibili del potere economico tedesco. La Germania, primo beneficiario della moneta unica, continua a opporsi all’assicurazione comune dei depositi, uno dei pilastri mancanti dell’unione bancaria. Lo ha ribadito lo stesso Merz in un intervento pubblico, smentendo la linea della Bundesbank e ottenendo l’applauso delle banche cooperative tedesche. La priorità resta una: non condividere rischi con altri Paesi, non trasferire vulnerabilità, nemmeno potenzialmente, ai contribuenti tedeschi.

È un atteggiamento che rivela un paradosso. Mentre si predica l’unità europea, si lavora per mantenere frammentato il sistema finanziario, proprio per evitare di perdere controllo e influenza. E paradossalmente, oggi è la Germania ad avere più di una debolezza interna, specie nei livelli meno solidi del suo sistema bancario. La questione va ben oltre il semplice confronto tra due istituti di credito. È la fotografia di un’Europa ancora bloccata tra dichiarazioni d’intenti e realtà. La Commissione Europea continua a parlare di unione bancaria come progetto fondamentale, ma i passi avanti sono minimi, ostacolati da divisioni profonde e interessi divergenti. L’impressione è che molti, Germania in testa, non vogliano davvero superare i confini nazionali su questo terreno. Nel frattempo, a Milano si valuta il da farsi. Secondo le analisi più recenti, uno scenario di fusione tra Commerzbank e Hvb – la controllata tedesca di UniCredit – potrebbe portare a una nuova entità in cui la banca italiana avrebbe la maggioranza. Ma la strada appare complessa, se non impercorribile. Più concreta sembra l’ipotesi che Unicredit mantenga un ruolo di azionista strategico, senza forzare l’ingresso. La prospettiva meno costosa, anche in termini politici, resta però quella di un passo indietro, che non impatterebbe in modo rilevante sulle performance della banca guidata da Orcel. Rimane l’amarezza per un’occasione che rischia di sfumare non per ragioni di mercato, ma per un’implicita chiusura politica. Mentre Berlino difende il suo sistema, l’Europa resta sospesa tra promesse e rimandi. E la costruzione di una vera unione finanziaria continua ad assomigliare a un cantiere mai aperto, bloccato da chi, pur vantandosi di trainare il continente, preferisce tenerlo diviso.
