Chiedo su WhatsApp a Claudio Burlando la disponibilità a fare una chiacchierata su alcuni temi della politica attuale, dai limiti alla liberta di stampa con l'emendamento di FdI, poi ritirato, sul carcere ai giornalisti contenuto nel disegno di legge sulla diffamazione, alle questioni secondo lui più urgenti che dovrebbe affrontare la sinistra, fino all’accordo preliminare di vendita del Secolo XIX, lo storico quotidiano regionale, all’armatore Gianluigi Aponte da parte del gruppo Gedi. La risposta iniziale è l’invio di una foto di asparagi selvatici e di un’altra di funghi. Capisco che l’onorevole evidentemente è per boschi a cogliere primizie. Forse di politica ne ha fatta davvero troppa e ora, almeno di domenica, ha bisogno di recuperare la dimensione dell’ordinario dopo trent’anni di attività in cui è stato uno dei protagonisti in ambito nazionale e regionale. Da ragazzo della Fgci all’ingresso nel Pci, nel Pds, poi Ds e infine Pd, da sindaco di Genova a ministro dei Trasporti e Navigazione sotto il governo Prodi, da parlamentare fino a presidente della Regione Liguria per due mandati. Anni di trasformazioni che hanno riguardato il Paese, ma soprattutto hanno reso Genova una città aperta. Con la restituzione ai cittadini di aree prima interdette come il Porto Antico, recuperato da Renzo Piano (è di Burlando l’idea dell’Acquario), il teatro Carlo Felice, gli interventi urbani a Pra’, la chiusura dell’altoforno di Cornigliano. E così ora Genova, oltre che essere una città industriale e il principale scalo italiano dei traffici marittimi, è diventata anche una grande attrazione turistica. Quando mi richiama è gentile e pronto a raccontarsi. Mi spiega che continua a seguire la politica ma ha anche il tempo di coltivare le sue passioni: cura un grande orto, va per funghi, cucina, gioca a scopone e segue il suo amato Genoa. Di politica parla quotidianamente sulla sua community WhatsApp. Si chiama “Vasta Liguria” e raccoglie circa 400 persone fra amici, imprenditori, sindacalisti, ex dirigenti istituzionali, giornalisti, cittadini comuni, professionisti. Tra loro anche molti giovani, da cui è partita l’idea della chat. Un po’ come la chat Sgarbistan di Vittorio Sgarbi? “Non lo so, non sono mai stato invitato”, sorride. La mia è una chat di confronto e di trasmissione di esperienze. Ne fanno parte tanti ragazzi che desiderano conoscere il passato da chi lo ha vissuto”. Tutta gente di sinistra? “Non necessariamente. Si va da persone moderate di diverso orientamento politico a elettori del M5s fino a persone di estrema sinistra”.
Onorevole Burlando, la tua (dammi pure del tu, mi dice, ndr) raccolta di asparagi e funghi nei boschi della Val Trebbia a quale riflessione necessaria e urgente ti ha portato sull’attualità della politica?
Mi ha portato a riflettere su questo: sul processo di ‘orbanizzazione’ che sta avvenendo in Italia. Mi riferisco al modello Orban che imperversa. La proposta di emendamento di FdI sul carcere ai giornalisti per diffamazione, poi ritirata, è un segnale chiaro: la denuncia dei giornalisti oppositori. Se poi Antonio Angelucci, già proprietario del Giornale, del Tempo e di Libero, dovesse comprarsi anche l’agenzia di stampa Agi, questo sarebbe un disegno chiaro di limite all’informazione. Tuttavia, per esperienza, posso dire che una certa narrazione prima o poi si scontra sempre con la realtà. E finisce per mostrare le sue magagne e falsità.
Rimaniamo sul discorso stampa: pensi che anche la vendita del Secolo XIX all’armatore Aponte possa rientrare in un disegno di assoggettamento della stampa a interessi specifici, in questo caso legati al porto?
Non credo. I tre giornali presenti sul territorio con edizioni locali, tutti del gruppo Gedi (Stampa, Repubblica e Secolo XIX, ndr), quello storico regionale passa da un gruppo imprenditoriale dell’automobile, lusso e finanza a un imprenditore di shipping al suo debutto nell’editoria. La fortuna di Gianluigi Aponte (campano, fondatore e proprietario della Mediterranean Shipping Company di cui fa parte anche Msc Crociere, ndr) non è costruita sull’editoria. È il primo armatore del mondo, opera nel settore dei container, delle crociere e dei traghetti e gestisce terminal ovunque.
Lo conosci personalmente?
Sì. L’ho conosciuto nel ’96 quando ero ministro e l’ho frequentato fino al 2015, quando ho concluso il mio mandato regionale. So per le mie esperienze romane che le pagine di marittimo del Secolo XIX sono probabilmente le più seguite a livello nazionale. Considerate le altre attività di Aponte credo proprio che lo shipping sarà al centro del suo nuovo progetto editoriale. Immagino che il giornale si occuperà molto del settore di cui è leader economico. Essendo già il primo armatore al mondo, mi pare abbia poco senso dire che possa trarre vantaggio da questa sua prima avventura editoriale.
Si è parlato però di una cordata "totiana" e si è detto che il governatore della Liguria Giovanni Toti avrebbe coinvolto anche Aldo Spinelli, importante operatore portuale…
Credo che se un imprenditore come Aponte decide di investire personalmente nel Secolo XIX lo faccia pensando a una prospettiva che va ben al di là delle prossime elezioni regionali. Ho letto che anch’io avrei partecipato a una cordata per acquistare il giornale e ho risposto che avrei pagato la mia quota con i funghi (ride, ndr).
Ma non ritieni possibile che un armatore-editore possa influenzare la linea editoriale del principale giornale ligure che si occupa di porti cruciali come La Spezia, Genova e Savona?
In un Paese in cui Silvio Berlusconi ha avuto tre reti private e ha controllato a lungo da presidente del Consiglio quelle pubbliche trovo che parlare di conflitto di interesse in questo caso, se facciamo il confronto, sia assai singolare. Aponte non ha mai investito nell’editoria. È alla sua prima volta. Nei prossimi mesi si dovrà decidere dove si stamperà il giornale nella sua versione cartacea e chi curerà la parte nazionale, poiché il Secolo ormai fa prevalentemente cronaca e shipping, ma interni ed esteri sono prodotti da tempo dalla Stampa. Ampliamo la prospettiva. Qui il punto non è tanto la vendita del Secolo XIX in sé ma il futuro della ex Fiat. Mi sembra di tornare agli anni ’90, quando ero ministro dei Trasporti e della Navigazione.
A quali eventi ti riferisci?
Fui ministro dal ‘96 al ‘98. Nel ’97 conobbi Gianni Agnelli e pranzai con lui nella Bolla del Lingotto, il ristorante progettato da Renzo Piano, in occasione dell’ultimo Salone nazionale dell’automobile di Torino. E il fatto che sia stato l’ultimo vuol già dire molto. Infatti all’epoca la Fiat viveva una crisi grave, era molto esposta con le banche e venni a sapere che queste ultime avevano imposto alla Fiat di vendere tutti gli asset fuori dal settore automobilistico per salvare l’azienda: Toro Assicurazioni, Fiat Avio, Fiat Ferroviaria e il porto di Voltri, il più grande terminal del Paese. Feci un viaggio in Oriente e, oltre alla Cina, anche Singapore. Parlando con il mio omologo, il ministro Ma, lo informai che ben presto il nostro Terminal sarebbe andato sul mercato. Un anno dopo venne da me Cesare Romiti per informarmi che il Terminal era stato venduto proprio alla Psa di Singapore. E io non ne fui per nulla sorpreso…
Quindi, per tornare a oggi?
A me pare che Exor stia vivendo un momento difficile, almeno per quanto riguarda le fabbriche italiane. Perché leggo di consistenti esuberi di personale che viene incentivato all’uscita in più di uno stabilimento. E questo mi sembra un fatto molto preoccupante: il baricentro di Stellantis si sta spostando sempre di più verso l’estero e in particolare verso la Francia. E dobbiamo capire come il gruppo affronterà la transizione verso le auto elettriche, settore in cui la Cina sembra sempre più forte: produce moltissimi veicoli con marchi suoi e anche con brand di case europee che producono da loro.
Sei stato sindaco di Genova, ministro dei Trasporti, parlamentare, presidente della Regione per due volte. Qual è l’impatto produttivo di un porto così importante come quello di Genova in ambito internazionale?
Genova rappresenta il porto di destinazione finale più importante d’Italia, con una movimentazione molto significativa per le merci ma anche per i passeggeri. Qui c’è anche il Porto Petroli del Nord Ovest. La Liguria è la regione che ha una movimentazione pari a quasi il 50 per cento del totale nazionale. Ogni merce che passa lascia ricchezza. I paesi asiatici sono molto cresciuti e ora oltre che esportare importano anche molto. Un tempo l’import era prevalente rispetto all’export, ora invece c’è un sostanziale equilibrio. Oggi il porto di Genova ha la capacità di servire tutto il mondo. Gli scali liguri sono la principale porta per le aziende italiane, che esportano ovunque non solo prodotti manifatturieri ma anche una quantità impressionante di prodotti agroalimentari, pari a circa 60 miliardi all’anno. L’unico vero asset nazionale della Liguria è lo shipping.
Hai cominciato da ragazzo nella Fgci. Poi hai fatto un lungo percorso nella sinistra. Esiste ancora la sinistra?
Esiste eccome. La sinistra cambia con la società in cui deve lavorare. Quando ho cominciato c’erano fabbriche con decine di migliaia di persone e un porto con 7mila "camalli". Bastava essere insediati in quelle realtà per avere un importante ruolo politico. Ora invece bisogna dialogare con tantissime diverse realtà. Dalle Colombiane del ‘92 al G8, purtroppo tragico, fino a Genova Capitale Europea della Cultura nel 2004 e in seguito a Genova Patrimonio dell’Umanità Unesco ogni volta la città cambiava. Oggi non è più divisa in blocchi sociali così rigidi, perciò anche il modo di rapportarsi della politica è cambiato seguendo le trasformazioni della città.
Oggi cosa sarebbe importante e di sinistra a livello nazionale?
Occuparsi di quattro settori fondamentali. La sanità prima di tutto. Nel rapporto fra spesa sulla sanità e Pil rispetto ad altri Paesi noi siamo molto indietro. Bisognerebbe risparmiare su altro, far pagare le tasse a tutti, contrastare il ricorso al privato e incentivare il pubblico. Il secondo tema è il lavoro. Siamo ancora in fondo alla lista dei Paesi europei come occupazione femminile e nel Mezzogiorno. Sono trent’anni che gli stipendi reali non aumentano. La flessibilità è diventata precarietà. Il terzo settore è la casa. L’Italia era un Paese di proprietari di immobili. Ma oggi comprare casa o anche solo affittare è molto difficile. Facciamo fatica a trovare personale dal Sud perché gli affitti coprono tre quarti dello stipendio. La scuola è stata per molti anni un ascensore sociale ma ora ha smesso di esserlo, perché spesso non produce le professionalità richieste dalle aziende. Fondamentali a questo proposito sarebbero gli Its (Istituti Tecnici superiori, ndr). A Genova per esempio, l’Accademia della Marina mercantile funziona benissimo e vengono giovani da tutta Italia. Anche le tasse universitarie sono troppo care e le residenze per studenti fuori sede sono troppo poche.
Va bene onorevole, ti saluto e grazie: cosa cucini stasera?
Gli asparagi selvatici che ho raccolto, con le uova. Se ti fa piacere ti aggiungo alla nostra chat. Oltre a parlare di politica e a esprimere idee che possano servire da spunto a chi desidera cambiare lo status delle cose, in quella chat posto i miei piatti. Sono figlio di un camallo e di una casalinga, vengo dal quartiere popolare di Quezzi, famiglia monoreddito, entrai nella Fgci spalando il fango durante l’alluvione del 1970. Questa è la politica in cui ancora mi riconosco e ritrovo le mie radici. Passa anche attraverso gli asparagi e i funghi della Val Trebbia, perché dietro a queste cose semplici c’è un mondo di persone vere.