Il Portogallo chiude alle agevolazioni per i pensionati stranieri che sbarcheranno sul suo territorio dall’1 gennaio 2024 per fermare la bolla di affitti e costo degli immobili che la politica di tassazione agevolata ha accelerato; l’Italia le conferma e, anzi, chiude piuttosto alcuni margini per le agevolazioni ai “cervelli in fuga” nostri connazionali che aprono al rientro nel nostro Paese. Il quadro di politica economica dei due Paesi delle ultime settimane mostra questa grande ambivalenza. Da un lato un piccolo Paese che sacrifica una fonte di indotti fiscali in nome dell’equità interna e della lotta alle distorsioni che si andavano accumulando. Dall’altro un Paese più grande che cerca di privilegiare la rendita facile al dinamismo economico.
Portogallo e Italia, strade diverse
Il Portogallo, lo ricordiamo, dopo la Grande Recessione ha voluto fare dei redditi degli stranieri pensionati una fonte di sostegno alla sua economia. “Introdotta nel 2012 per i pensionati che trascorrevano almeno sei mesi dell’anno in Portogallo, questa esenzione concessa per dieci anni è stata totale fino al 2020”, nota Il Sole 24 Ore. “Dopo di che, l’aliquota fiscale è stata fissata al dieci per cento. L’obiettivo era quello di attirare capitali stranieri in Portogallo duramente colpito dalla crisi del debito. A beneficiarne sono state circa 10mila persone, in gran parte pensionati italiani, britannici e francesi, che si sono stabiliti soprattutto nella zona di Lisbona o nell’Algarve al sud”. Dal 2024 chi è già arrivato in passato nel Paese avrà confermati i propri privilegi, ma il governo socialista di Antonio Costa ha spinto allo stop per gli allarmanti dati economici: la Fondazione portoghese Francisco Manuel dos Santos ha infatti stimato che nel Paese tra il 2012 e il 2021 il costo degli alloggi residenziali nel Paese è cresciuto del 78%, più del doppio rispetto al 35% registrato mediamente nell'Unione Europea. Di +11% nel secondo semestre 2023 la crescita degli affitti rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. In Italia, lo ricordiamo, nel 2019 è stata introdotta la possibilità che i pensionati esteri che trasferiscono la residenza in Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia, recandosi a vivere in Paesi con popolazione non superiore a 20mila abitanti, possono beneficiare di un regime fiscale agevolato e di un’aliquota al 7%. La misura sta sdoganandosi dopo lo stop pandemico e ad oggi poco meno di un migliaio di pensionati ha scelto l’Italia, con l’Abruzzo in cima alle preferenze.
La Manovra 2024 ad ora ha confermato questa misura volta a trasferire risorse in comuni periferici del Mezzogiorno. Che però ha un duplice problema strutturale: si mostra una misura favorevole a una piccola rendita, quella di stranieri benestanti desiderosi di buen retiro in Italia, mostrando inoltre una palese ineguaglianza con un sistema nazionale in cui invece pensionati e persone al termine della loro carriera professionale vivono una situazione reddituale spesso incerta. Fornire un salvacondotto da rincari e inflazione a una platea estera appare, oggigiorno, una scelta economicamente ed eticamente poco comprensibile, specie se ciò si accompagna a una stretta sui giovani professionisti che producono reddito e valore desiderando tornare in Italia. True-News.it ha raccontato la batosta del Decreto Anticipi licenziato il 16 ottobre dal governo Meloni sottolineando che agli expat di ritorno in Italia con professionalità e competenze utili al mercato del lavoro saranno ridotti gli incentivi di rimpatrio: “A partire dal 2024, la detassazione passa dal 70% al 50% entro un reddito complessivo di 600 mila euro ed è riservata ai ricercatori e ai docenti che trasferiranno la loro residenza fiscale in Italia dal prossimo anno”, si legge nell’analisi a firma di Francesca Ferri. Inoltre, “il nuovo decreto “obbliga a una permanenza pari alla durata del regime – cinque anni -, pena la decadenza totale con richiesta di restituzione di tutti gli importi più interessi e sanzioni. Da qui la deduzione che i potenziali beneficiari saranno pochissimi” a partire dal 2024.
In sostanza, il Paese appare più concentrato sull’incentivazione alle rendite, con tutte le conseguenze a cascata che possono accadere in un territorio come il Sud simile in termini socio-economici al Portogallo, a scapito di dinamismo e innovazione. L’atavica contrapposizione tra rendita e mercato, tra politiche economiche orientate alla crescita e misure di piccolo cabotaggio si estrinseca anche guardando al risiko degli incentivi fiscali e alla preferenza del governo sulla penalizzazione della complessa misura sui lavoratori rientranti. Si sceglie di confermare una mossa subottimale e finora poco sfruttata per fare minimamente cassa e si rinunciano a molti benefici produttivi, intellettuali, fiscali da rientro di competenze e talenti. Una piccola storia di ordinaria inefficienza all’italiana, su cui il governo Meloni poteva dare una spinta e uno stimolo circa la sua autodichiarata volontà di promuovere merito e competenze. Salvo poi, come in tempi non sospetti ha denunciato Alberto Forchielli, confermarsi più attento a conservare che innovare.