Mala tempora currunt per il regno del “King” Lacerenza. Altro che “Niente poveri”: adesso il problema non è chi entra, ma chi esce. Undici dipendenti (quasi tutti stranieri) si ritrovano senza lavoro, la Gintoneria è chiusa per ordine del questore e il privè della Malmaison ha abbassato le serrande. Il locale di via Napo Torriani, epicentro delle notti milanesi alcol, escort e champagne, è ormai un ricordo. E no, questa volta non basterà una sciabolata per far ripartire la festa. La notifica è arrivata nella mattinata del 25 marzo direttamente nell’appartamento dove Davide Lacerenza si trova agli arresti domiciliari, insieme alla socia Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi. A firmare il provvedimento è la Questura di Milano: revoca della licenza per il drink bar, considerato “obiettivamente pericoloso” per la sicurezza pubblica. A pesare, oltre all’inchiesta per sfruttamento della prostituzione, spaccio e autoriciclaggio, anche due precedenti sospensioni.
E la musica, anzi, l’inno a “Sesso, bamba e champagne”, si è fermata. Il verbale parla chiaro: il locale non solo era sotto osservazione da tempo, ma con il sequestro disposto dalla procura era inevitabile che anche l’autorizzazione saltasse. La Gintoneria, che per anni ha alimentato un indotto milionario (dai fornitori “gourmet” al fioraio bengalese sempre pronto con le rose per i clienti più “romantici”), chiude i battenti nel silenzio di una Milano che, in fondo, sa bene che il modello Lacerenza è tutto fuorché unico.

Intanto, il diretto interessato si era già raccontato lo scorso anno in una puntata del podcast “Gurulandia” che oggi suona come un trailer involontario dell’inchiesta giudiziaria. “Devo tutto a Wanna Marchi. Mi ha insegnato molte cose”, diceva. E Stefania Nobile rincarava: “All’inizio non voleva neanche aprire il locale, ho dovuto convincerlo persino per la pagina Instagram. È stata mia mamma a insegnargli come si fanno i soldi”. Obiettivo centrato, almeno fino a quando la Finanza non ha bussato alla porta. “Quando c’è troppa gente andava in panico. Mamma gli disse: non perdere tempo con chi spende 20 euro, punta su chi ne ha 20mila”, ha raccontato la figlia della Marchi. Ed è così che nasce il famigerato privè della Malmaison, il luogo dove il “tavolo forte” da cinquemila euro a serata si spostava dopo le due di notte, orario di chiusura ufficiale. “Quando ho il tavolo forte lo porto nel privè. In quei casi vado avanti fino alle sei del pomeriggio, ottimizzo così”, spiegava “Davidone”. Ma per la Guardia di finanza quel “privè” era molto di più: il cuore del sistema. Qui, secondo le indagini, Lacerenza chiamava escort su richiesta, prometteva clienti facoltosi (“C’è uno svizzero, ha speso 40mila euro di bottiglie”), gonfiava gli scontrini con etichette da sogno e margini da capogiro.

Il pacchetto era all inclusive: cocaina, sesso a pagamento, e lo show personalizzato di Lacerenza. Sciabolate, slogan, mitologia da Instagram e quel mantra ripetuto in loop (“niente poveri”) che ora suona come una beffa. Il re della Gintoneria ha costruito il suo impero su un’idea tanto efficace quanto elementare: vendere sé stesso. L’esperienza, più che il prodotto. Il format, più che la qualità. E farlo diventare aspirazionale. Ma l’epoca dei brindisi e delle stories filtrate è finita. Adesso resta il conto, per nulla “instagrammabile”: tra gli arresti domiciliari, le accuse e la chiusura definitiva, il castello di ghiaccio (e Dom Pérignon) si è sciolto. Resta da capire se e dove si replicherà il format, perché la Milano delle notti sopra le righe non sta mai ferma troppo a lungo. E, si sa, il mercato non dorme. Nemmeno quando si tinge di noir.