Il caso dell’uccisione di Yara Gambirasio si è parlato anche fuori dai confini italiani. La Bbc fece un documentario per ricostruire l'omicidio. Uno dei simboli del caso è l’apparecchio di Yara. Lo ricorda Gianluigi Nuzzi: “L'apparecchio svela il sorriso lieve di Yara poco più che bambina nelle poche sue foto a disposizione. L'apparecchio andava regolato con la chiavetta e per questo Yara raggiungeva da sola il dentista per l'aggiustamento nello studio medico a due passi dal centro estetico dove Massimo Bossetti, il muratore assassino, andava ad abbronzarsi”. Bossetti, “detto ‘il Favola’ tra gli amici per la sua abitudine alla menzogna, l'assassino di Yara”. Gli avvocati dell’uomo hanno denunciato i Ris di Parma che condussero le indagini scientifiche. “E così dopo un decennio speso tra denunce, opposizioni e ricorsi negli incidenti di esecuzione dopo la Cassazione sui reperti del caso, con un plotoncino di toghe e cancellieri finito alla sbarra a Venezia, ora tocca ai militari dei reparti scientifici dell'Arma”. Nuzzi afferma che è probabile che “anche sul fronte dei reperti saranno anni di altri confronti nelle aule di giustizia tra i difensori che vorranno esaminarli per rintracciare elementi per l'attesa richiesta di revisione e la procura di Bergamo che sottolinea come non siano consentite delle sorti di perlustrazioni preventive proprio per avanzare domanda di revisione”. Ma le prove contro Bossetti sono “ormai cristallizzate”: “Il centro lampade dove andava ad abbronzarsi era proprio a fianco del dentista dove la piccola Yara frequentava per regolare apparecchio odontoiatrico. Lui l'ha in crociata altre volte e apprezzata”. Sul suo pc, come evidenziato dalla perizia informatica, è stata trovata una ricerca: “Tredicenni vagina rasata”. Prosegue Nuzzi: “Lui (Bossetti, ndr) era un cacciatore, più volte era passato nelle strade vicino alla palestra con il suo Daily Iveco proprio nei giorni, lunedì e mercoledì, e negli orari in cui Yara andava ad allenarsi. Il cacciatore trova il momento giusto per entrare in azione: si desidera ciò che si vede, si prende ciò che si desidera”. Secondo il giornalista Bossetti avrebbe “prelevato Yara con l'inganno, trattenuta con la forza, lei ha respinto le avances, non ha avuto rapporti con lei, l'ha ferita, e l'ha lasciata lì. Probabilmente non aveva neanche un piano in testa...”.

“Ancora: Yara è stata lasciata nel campo ferita a morire di stenti, lo dimostra il ciuffo d'erba che stringeva ancora da viva trovato poi nel suo pugno”. Il cuscinetto di conservazione sotto la nuca è diventato “l'orologio esatto di questo omicidio”. Il corpo di Yara non era stato visto da nessuno, nascosto com’era nella vegetazione: “Dovevi proprio inciamparci”. “E poi la prova regina, quella della traccia genetica”, che nel documentario Netflix è al centro della ricostruzione: “La traccia 31G20 è una traccia mista che inchioderebbe chiunque. Stiamo allora sulle provette, quelle sulle quali aleggia l'ombra della falsificazione: il 17 settembre scorso la posizione del pm di Bergamo Letizia Ruggeri, indagata a Venezia per frode processuale, è stata archiviata”. Infatti, “l'indagine genetica di massa più estesa della storia italiana è stata condotta benissimo e le prova ottenuta con procedura irripetibile è stata in realtà ripetuta e confermata da quattro autorevolissimi istituti forensi italiani”. Il risultato dell’esame è che il dna combacia “al 99,9 per cento”: “In definitiva, trovare un altro individuo con le stesse caratteristiche genetiche di Bossetti significherebbe non avere i nostri 7 miliardi di abitanti sulla terra ma avere altri 180 milioni di miliardi di pianeti uguali al nostro”. La descrizione di Bossetti fatta da Nuzzi è durissima: “È un megalomane e bugiardo, ai colleghi confidava di avere due tumori al cervello inesistenti, sa fingere un pianto con le lacrime a comando come lui stesso aveva ammesso”, scrive ancora su La Stampa, “Bossetti, in questa cruda verità è l'assassino di Yara Gambirasio, condannato in Corte d'Assise a Bergamo all'ergastolo il primo luglio 2016. Una sentenza confermata in Appello il 17 luglio 2017 e poi in Cassazione nell'ottobre 2018”. L’indagine è di imponenti dimensioni, dato che “vennero ascoltati 4300 testimoni, analizzate 120mila utenze telefoniche e si aprì un indagine su ampia scala sul dna di oltre 26mila persone: mai in Europa era stata condotta un'indagine genetica così estesa”. Nel frattempo, la tecnologia ha fatto passi in avanti: “Siamo i primi ad assistere all'alba delle intelligenze artificiali”. Strumenti che le forze dell’ordine “hanno da subito iniziato ad adottare”, sempre “nel rispetto dei limiti previsti dalla recentissima normativa europea ‘AI Act’ e accompagnando sempre l'introduzione di un metodo innovativo a più livelli di revisione umana prima che i risultati possano essere impiegati a fini giudiziari”.

