Anno nuovo, vita vecchia. Se c’è una irritante pratica che negli ultimi anni in Italia è ormai consuetudine, è quella dell’aumento dei pedaggi autostradali. Proprio come i noiosi cenoni natalizi o i fastidiosi botti di Capodanno, anche il caro-autostrade arriva puntuale al primo gennaio, come un parente che non hai invitato ma che comunque si presenta. È il regalo che nessuno chiede, ma che puntualmente ci ritroviamo sotto l'albero appena scartati i panettoni. Peggio del tipico bagnoschiuma o dei classici calzini della zia.
Le tariffe, manco a dirlo, sono lievitate ancora una volta. La motivazione? Ovviamente, i "maggiori costi di gestione e manutenzione". Una formula ormai scolpita nella pietra, perfetta per giustificare rincari che sembrano non avere mai fine. E mentre il resto del mondo discute di sostenibilità e innovazione nei trasporti, noi ci troviamo ancora a fare i conti con l’ennesimo aumento, come se viaggiare in autostrada fosse un lusso riservato sempre più a pochi eletti. Le prime stime parlano di incrementi medi intorno all'1,8%, ma su alcune tratte il rincaro è più significativo. E così, se già piangevamo per i pedaggi tra Milano e Napoli o tra Pescara e Bologna, prepariamoci ad allegerire ulteriormente il portafoglio. Il risultato? Un viaggio in autostrada comincerà ad assomigliare sempre di più a una mini crociera: cara, interminabile e con qualche coda di troppo. Per non parlare poi della pausa caffè, fare pranzo o cena fino al rifornire il carburante sulla rete.
Naturalmente gli aumenti sono indispensabili per garantire la sicurezza e il mantenimento delle infrastrutture, ci mancherebbe. Ma con tutto il rispetto, basta percorrere pochi chilometri per notare che molte tratte sembrano più cantieri eterni che future modernissime vie di comunicazione. Tra restringimenti di carreggiata, tratti chiusi, manto stradale rovinato non drenante, code non segnalate e segnaletica improvvisata, la sensazione è che stiamo pagando di più per avere sempre di meno. E non venga mai l'idea di percorrere la tratta del medio Adriatico perché lì, fuori dal periodo delle festività, tra gallerie a corsia unica e code c'era e ci sarà piena "libertà" di partecipare alla coda.
Sempre più automobilisti si chiedono dove vadano a finire tutti questi soldi. Per anni si è parlato di grandi progetti infrastrutturali, ammodernamenti e nuove tratte. Eppure, di queste "grandi opere" si è visto ben poco. Certo, ogni tanto qualche nuovo tratto o viadotto viene inaugurato in pompa magna, ma nel frattempo il resto della rete autostradale sembra procedere a rilento. E mentre eravamo impegnati a ingurgitare panettoni, pandori e torroni, in TV abbiamo visto pubblicizzare il nuovo logo e la nuova campagna istituzionale del principale gruppo gestore della rete autostradale d'Italia. Con il claim studiato apposta per restare in testa in loop mentre si cerca di trovare sonno sdraiati a letto con il famigerato cinghiale sullo stomaco, “la libertà è movimento” ricorda la possibilità di scegliere il proprio percorso, secondo le proprie esigenze e i propri tempi. Se Gaber cantava libertà è partecipazione, noi confermiamo che la partecipazione è solo nel gestire il tempo in fila o il ritardo a lavoro.
Anche in questo 2025 ci sarà comunque chi, per risparmiare, deciderà di affidarsi alle strade statali. Qui il viaggio diventa un’impresa, oltre ad altre code infinite, semafori interminabili collegati a telecamere e limiti di velocità, le buche larghe come crateri ti fanno sentire un escursionista più che un automobilista. Ma almeno, alla fine, risparmi quel pugno di euro di pedaggio, anche se i livelli di cortisolo raggiungono punte da record. E per fortuna che la generazione dei nostri nonni era cresciuta col mito che la strada statale fosse qualcosa di mitico come i ponti radio, custoditi per essere sempre liberi e fruibili. Oggi possiamo smentite le loro tesi visto che anche lì i cantieri sono sempre più fissi che temporanei.
Tra ricavi da record e dividendi generosi, le società che gestiscono le autostrade sembrano vivere in un mondo parallelo, dove la crisi economica è un concetto distante. A pagare, come sempre, sono i cittadini, costretti a fare i conti con rincari che si sommano a quelli già annunciati per luce, gas e carburante. E se c’è una certezza per il nuovo anno, è che questo trend non si fermerà. Tra pochi mesi, probabilmente, qualcuno ci parlerà di "nuovi adeguamenti tariffari", come se aumentare fosse la cosa più naturale del mondo. Al contrario invece, nessuno ci dirà mai che le tariffe scenderanno anche solo di 10 centesimi. Intanto, chi viaggia per lavoro o per necessità dovrà continuare a mettere mano al portafoglio, mentre i grandi proclami sulla mobilità sostenibile rimarranno, ancora una volta, lettera morta.
In un Paese dove tutto cambia, ma nulla cambia davvero, possiamo almeno consolarci con una certezza: gli aumenti delle autostrade sono l’unica tradizione che non rischia di scomparire. E mentre noi continuiamo a pagare, forse è il caso di cominciare a sognare un 2025 con meno rincari e più strade libere. Ma per ora, l’unica strada libera sembra quella che porta a un divieto di accesso o una strada senza uscita.