Che fine ha fatto Antonio Dikele Distefano? Forse è rimasto esattamente dove lo avevamo lasciato, su quel palco con Fedez, in quella strana e misteriosa intervista che si concluse con il forfait del rapper dai molti tatuaggi. In tutto questo tempo, dove sei stato Antonio Dikele Distefano? Dicevano che sarebbe diventato il nuovo Fabio Volo, ma ne è passata di acqua sotto i ponti. Semplicemente Dikele non è andato da nessuna parte, è rimasto lì, su quel palco. Il pubblico se ne andava, e lui restava lì seduto, a interrogarsi su quello che era appena accaduto. Cosa fare adesso? Ed è rimasto lì a riflettere e porsi delle domande a cui non c’è risposta. E senza trovare le risposte, ha continuato ad autoflagellarsi come un penitente con quelle stesse domande che sono piccoli germi velenosi del dubbio e, come un russo che si ritira strategicamente nelle profondità e nell’oscurità della Taiga all’avanzare dei teutonici, ha iniziato ad affilare il rasoio del suo pensiero, una lama che pretende di squarciare l’universo a partire dall’atomo. Lui, fondatore e direttore di Esse Magazine, la più importante rivista di hip-hop in Italia da più di dieci anni. Tutte le interviste più belle ai rapper le faceva lui, e poi la lapide su Fedez. Infine il silenzio. Che strano incontrarlo travestito da Martin Lutero nel cuore di San Pietroburgo. Distefano-Dikele. Antonio. Antonio Dikele Distefano, Dikele Antonio Distefano. Chi sei davvero? Un rebus. ADD. DAD. DDA. Quante permutazioni ancora possiamo comporre? Quanto spazio, e quanto tempo ci separano dal calcolo esatto, preciso, del vero nome di Dio?
Si dice che quando la macchina troverà il risultato definitivo, allora cadranno le stelle dal cielo, e sarà qualcosa di simile all’A come Apocalisse. A come Antonio, Dikele, Distefano, ormai un uomo solo, unico e trino (DAD), muove la sua crociata contro l’universo e come un rabbino che pratica l’arte e la scienza della Cabala, ha iniziato ricercare, tra tutte le permutazioni possibili comprese nella physis, la verità. Secondo un’interpretazione cabalistica del nome “Antonio Dikele Distefano” – traslitterato rigorosamente in alfabeto ebraico – risulta il numero 227, associato all’indipendenza, all’originalità, e il numero 7, ovvero la ricerca interiore all’introspezione, la spiritualità. Difficilmente i cabalisti si sbagliano. Produttore seriale di reels per Instagram e Tiktok, Antonio Dikele Distefano, con la fronte sempre più accigliata, le rughe d’espressione sempre più pronunciate, lo sguardo sempre più fisso, e il pessimismo sempre più cosmico, sembra aver assunto la forma e la sostanza di uno scrittore russo, con tutto quel dolore da cui lasciarsi trafiggere in ogni modo possibile, al tempo stesso con tutta la gravità e il moralismo di un pastore luterano (ecco il perché della barba). Dopo due anni di silenzio, dopo quella fatidica intervista, Dikele è tornato in Angola, come Jep Gambardella alla fine della Grande Bellezza, perché le radici sono importanti. E ora, dopo il ritiro spirituale in cui ha elaborato il trauma, è sceso ancora una volta in campo. Questa volta per trasmetterci la parola del Signore, in veste di predicatore digitale fulminato, più che folgorato, sulla via di Damasco. E di predicatori in Italia, non ve ne sono. Abbiamo avuto Padre Pio, certo, ma predicatori come quelli che ci sono negli Stati Uniti no. Quelli che si avvicinano a questa dimensione sono gli illuminati della chiesa di Scientology, ma a parte loro, il deserto. Perché in Italia c’è il Papa, e perché se il protestantesimo è aspro come il vino rosso (che Dikele dice di non aver mai bevuto), il cattolicesimo è uno champagne disprezzato dagli inglesi, dagli americani, dai musulmani più intransigenti. Quanta libertà nel cattolicesimo, quanto Dioniso e quanto paganesimo accoglie il prete della gotica Padania quando serve la messa, e la comunione, come un antico sacerdote camuffato da curato di campagna. Questo non sta bene a chi è convinto che Dio abbia già deciso del nostro destino ultraterreno. Troppa libertà, e quindi è necessario autoflagellarsi, come sta facendo Antonio Dikele Distefano.
Se ci pensiamo, è il momento giusto. Un papa americano come Leone XIV, seppur cattolico, è pur sempre americano. E gli americani credono che non vi sia alcuna via di scampo dal loro destino, fatto di quell’eccezionalismo messianico che a noi fan del cinema holliwoodiano piace tanto. D’altronde è stato Gesù Cristo a indicare loro la via verso il West, no? Dikele ora si domanda cos’è Dio, non sopporta più le bestemmie, ammette la sconfitta di fronte all’amore perché dice che non riesce più a fidarsi, il suo pensiero non lo lascia più in pace, confonde il sapere col sospetto e il suo corpo si spaccia per anima e lo tiene prigioniero in questo nuovo oscuro personaggio. “La fedeltà non è solo essere fedeli, ma pure evitare di porsi in tutte quelle condizioni compromettenti”. Disperare assolutamente in sé stessi, per sperare assolutamente in Dio, sembra recitare Dikele tra le righe. Scorrendo i suoi reel e tenendo fisso lo sguardo sulla sua fronte, più i video si fanno vecchi, più la sua fronte è rilassata. Era la fronte piatta di un uomo che non problematizzava sistematicamente l’ovvio. Oggi invece pare assediato dalle sue stesse idee, come un soldato in trincea (per citare Andrea Sempio) che si è incupito, perseguitato dai suoi stessi incubi, dall’idea che la fine sia vicina, come i predicatori di sventura del Medioevo. Il tutto però in chiave parodistica, come tutto quel che germoglia, bene o male, nell’Italietta dei piccoli comuni di periferia fondati dal Duce, tipo Busto Arsizio, dove Antonio Dikele Distefano è nato e cresciuto. E a questo punto non sarebbe da escludersi una sua inaspettata torsione verso una dimensione del pensiero complottistica alla Diego Fusaro. Ma potremmo pure sbagliarci. Ad ogni modo. Dio, Patria e Famiglia, di origine africana, italiano vero, tormentato interiormente come un vero scrittore russo, Antonio Dikele Distefano sarebbe l’antidoto perfetto per sconfiggere boss finali di questo assurdo videogioco che è la vita come Gramellini, Baricco, ecc. ecc. Un mistero, però, cosa sia accaduto nella mente e nel cuore di Dikele dopo quella fatidica intervista a Fedez. Ad ogni modo, come la sua nemesi di Rozzano (sempre Fedez), si è in qualche modo reinventata, riposizionandosi, in ultima analisi, sulle sponde del conservatorismo. E vuoi o non vuoi nei prossimi anni, questo esercito di commedianti emergerà con prepotenza. Dunque, Tony Dikele Distefano, sarà un futuro Gramellin-Lutero, oppure l’ennesimo Paolo Volo, anzi Paolo Brosio, fulminato sulla via di Damasco? Paolo Brosio, confessiamo, sarebbe una figata, quindi, avanti tutta Dikele, e viva Cristo!