Mentre la premier Giorgia Meloni parla del piano Mattei per aiutare i paesi africani, ci viene in mente qualcosa legato al passato. Come un dejà vu. Qualcosa già realizzato nei paesi africani negli anni Novanta e per il quale è stato poi necessario istituire una Commissione d’Inchiesta sulla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo che si è anche occupata anche del caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che proprio in Somalia hanno perso la vita il 20 marzo del 1994, mentre stavano indagando anche sui progetti realizzati dalla Cooperazione in Somalia. Quello di cui si parla adesso, il piano Mattei, è un piano strategico per la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano, un piano che prevede la realizzazione di alcuni progetti in ambito energetico e sociale per il continente che porta il nome dell’ex presidente dell’Eni, scomparso nel 1962. Venerdì 20 giugno a Roma si è tenuto il vertice “The Mattei Plan for Africa and the Global Gateway: A common effort with the African Continent”, presieduto dalla premier Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il piano prevede degli investimenti esteri a favore dell’Africa per un totale di 150 miliardi. Tra i progetti da realizzare c’è il “Corridoio di Lobito”, una linea ferroviaria lunga 830 chilometri destinata a collegare Angola e Zambia attraverso la Repubblica democratica del Congo. Il secondo progetto riguarda invece l’agricoltura, che punta sullo sviluppo delle filiere produttive del caffè. E ancora, lo sviluppo delle interconnessioni e delle infrastrutture digitali. Facciamo un passo indietro sino al 1994. “È la storia della mia vita, devo concludere, devo fare, voglio mettere la parola fine” aveva detto l’inviata del Tg3 Ilaria Alpi prima di partire per la Somalia. Durante il suo settimo e ultimo viaggio in Somalia, Ilaria Alpi si è spostata anche a Bosaso, dove fece l’ultima sua intervista al sultano Abdullahi Moussa Bogor, sultano di Bosaso, prima di essere assassinata in un agguato al suo rientro a Mogadiscio insieme all’operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994. È il pomeriggio del 15 marzo 1994. L’intervista al sultano dura tre ore, nel corso delle quali si sente la giornalista del Tg3 chiedere al sultano di Mugne, della nave sequestrata, degli scandali della cooperazione italo-somala, delle armi, dei rifiuti tossici seppelliti lungo la strada Garoe-Bosaso.

A confermare gli argomenti affrontati con Ilaria sarà lo stesso Bogor, l’8 febbraio del 2006, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin: “[...] Ad Ilaria avevo detto che quelle navi portavano dalla Somalia il pesce e poi venivano con le armi in Somalia. La gente sapeva questo fatto. Era questo ciò che ho detto a Ilaria... i politicanti che venivano di tanto in tanto da noi ci confermavano che queste navi a volte al ritorno... era interessata a sapere da dove venivano tutte quelle armi. Io sono convinto tuttora che lei fosse in possesso di informazioni precise, ottenute attraverso documenti, perché i documenti si trovano... anche durante gli ultimi giorni dell’amministrazione sono arrivati armamenti segreti, procurati da Siad Barre. [...] È probabile che altrove, soprattutto a Mogadiscio, si sia procurata qualcosa, altrimenti non avrebbe parlato. La sola cosa che posso dire è che ho dedotto dal suo assassinio che la ‘Faarax Oomar’ portava le armi”. E sempre nella stessa audizione, Bogor ha affermato che la telecamera è rimasta sempre accesa durante l’intervista e che l’operatore chiedeva di tanto in tanto l’interruzione, visto che è durata tre ore. “[...] Non abbiamo parlato senza la telecamera e la registrazione... non mi pare che l’intervista si sia interrotta... no, non è mai accaduto... però siccome l’intervista era lunga (è durata tre ore), di tanto in tanto l’operatore chiedeva l’interruzione. Questo me lo ricordo, che lui chiedeva”.

Dalle dichiarazioni del sultano si evince come siano sparite delle cassette. La cassetta dove è registrata l’intervista al sultano che è stata ritrovata dura solo venti minuti. Un aspetto che pare non sia stato approfondito. Non risulta infatti che la Commissione d’inchiesta abbia disposto una perizia sui nastri per verificare se fossero realmente gli originali e che non ci siano state manomissioni. Ma chi era Mugne e cos’era la Shifco che si trova annotata negli appunti della Alpi? La Shifco era una società di navigazione dello Stato somalo. Omar Mugne era il responsabile della società per conto del governo somalo, sino a quando nel 1993, se ne andò via con i pescherecci, appropriandosene senza alcun titolo. Queste navi erano state donate dalla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Prova che Ilaria si stesse interessando alla Shifco e Mugne la troviamo negli appunti riportati sui bloc-notes ritrovati dell’inviata: “Shifco/Mugne/1400 miliardi Fai dove è finita questa ingente mole di denaro?”. E nel corso dell’ultima intervista a Bogor, come da sua stessa ammissione. Facciamo un passo indietro. Anche la Commissione bicamerale d’inchiesta sulla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo si è trovata ad indagare sul caso Alpi-Hrovatin. La Commissione è stata istituita con la legge n.46 del 17 gennaio 1994. Si è insediata a novembre del 1994 e ha cominciato i lavori all’inizio del 1995. Anche se lo scioglimento anticipato delle Camere, nel marzo del 1996, ha impedito ai commissari la stesura e l’approvazione di una relazione. La Commissione venne istituita con lo scopo di verificare l’utilizzazione dei fondi della Cooperazione proprio perché erano emersi alcuni problemi di malaffare. L’altro scopo era quello di occuparsi di eventuali fondi spesi per scopi militari. Nel 1991, infatti, era stata approvata una nuova legge sul commercio delle armi e di conseguenza anche questo era oggetto d’indagine. Infine, la Commissione si è occupata anche dell’omicidio Alpi-Hrovatin. Infatti tra i paesi su cui sviluppare questa inchiesta c’era anche la Somalia, dove erano realizzati alcuni progetti: la strada Garoe-Bosaso, i pozzi, le navi della Shifco. Tra i documenti raccolti dalla Commissione, alcuni furono consegnati proprio dai genitori di Ilaria Alpi, durante un’audizione formale, il 22 febbraio del 1995, che riguardavano questi progetti. Dopo l’audizione di Giorgio e Luciana Alpi la Commissione guardò l’intervista realizzata dalla giornalista al sultano di Bosaso. Nell’intervista si sente: “Venivano da Brescia, Milano, dal Regno Sabaudo”, città che non essendo produttrici di pesce sollevarono il sospetto nei commissari che queste navi trasportassero altre cose. E non solo: si faceva riferimento alla Sec, la società che costruì i pescherecci della Schifco. Questi pescherecci furono costruiti in due tranche: nei primi anni Settanta i primi tre, nella seconda metà degli anni Ottanta gli altri tre, utilizzando i fondi del Fai (Fondo aiuti italiani).

Ecco le tappe ripercorse dai due reporter nei dieci giorni trascorsi in Somalia: Mogadiscio, Balad, Merca, Johar, Bosaso, Gardo, Bosaso, Mogadiscio. Dopo aver intervistato il sultano di Bosaso, Ilaria e Miran, al tramonto, partono per Gardo, situata a metà della strada Garoe-Bosaso (costruita dalla Cooperazione italiana) e dopo una breve sosta al villaggio di Karabeyn, proseguono sino alla sede dell’Aicf, una Ong per la lotta contro la fame. Ma prima di ritirarsi per la notte, escono per un giro in città. Ilaria intervista un giovane maestro disabile, fondatore di una scuola, che teme di vedere presto svuotata degli alunni, per il proliferare di scuole costruite da organizzazioni islamiche. Il giorno successivo (16 marzo 1994) la giornalista e l’operatore escono quasi all’alba per intervistare un capo villaggio, l’ingegnere Abdullahi Ahmed e registrare le immagini di tubazioni per l’acqua che sono fatiscenti. Poi un’altra intervista ai due ospiti dell’Aicf, Gary e Aida, quindi riprendono la strada per Bosaso. Nelle immagini girate da Miran Hrovatin si vede la tanto discussa costosissima strada costruita con i fondi della Cooperazione italiana, finalizzata alla distribuzione di tangenti e forse al seppellimento di rifiuti tossici. Ilaria e Miran arrivano a Bosaso ma l’aereo che avrebbe dovuto riportarli a Mogadiscio è già partito. Ilaria è preoccupata per il mancato rientro a Mogadiscio e, soprattutto, di non poter mandare il servizio, che ha realizzato. Così, nel pomeriggio, telefona dall’ufficio di Unosom Wfp di Bosaso ai genitori e al suo caporedattore Massimo Loche, il quale la tranquillizza: stava per iniziare uno sciopero dei giornalisti Rai e dunque non avrebbe dovuto mandare alcun servizio. Il 20 marzo 1994 Valentino Casamenti (amico di Ilaria) e Enrico Fregonara di Africa ‘70 (Ong italiana) accompagnano i due giornalisti per prendere l’aereo che li riporterà a Mogadiscio. Le tappe di Ilaria e Miran del loro ultimo viaggio in Somalia sono state ricostruite dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta da Carlo Taormina, che si è insediata dieci anni dopo l’omicidio dei due giornalisti, attraverso le immagini - ritrovate - girate da Ilaria e Miran in quei dieci giorni. Tuttavia ci sono dei vuoti. Nell’estate del 2005, una spedizione - formata da Luciano Scalettari di “Famiglia Cristiana”, dall’onorevole Mauro Bulgarelli dei Verdi, da Francesco Cavalli, fondatore dell’Associazione e del Premio “Ilaria Alpi”, dall’operatore Alessandro Rocca – ha effettuato due viaggi in Somalia proprio per ripercorrere le ultime tappe del viaggio dei due giornalisti. Uno degli scopi della missione era quello di verificare la presenza di materiale radioattivo. Durante il primo viaggio è stato utilizzato un contatore Geiger e non è stata rilevata la presenza di materiale radioattivo. Nel corso del secondo viaggio, invece, è stato utilizzato il magnetometro, ovvero uno strumento che serve a rilevare la presenza di materiale ferroso nel sottosuolo, in alcune località vicine alla strada Garoe-Bosaso, che ha dato un risultato positivo, anche se parziale.
