Lo scorso martedì 17 settembre siamo stati testimoni, seppur a distanza, di un fatto a dir poco incredibile e senza precedenti: centinaia di walkie-talkie, cercapersone e telefoni cellulari sono esplosi in contemporanea in Libano, a causa di una gigantesca operazione “telecomandata”, effettuata – pare – dai servizi segreti israeliani, che ha causato centinaia di feriti e morti. I possessori dei dispositivi verso cui era indirizzato l’attacco, sono, com’è ormai noto, i membri del gruppo di Hezbollah, ma non solo, dato che molte sono state anche le vittime collaterali. Dal momento dell’esplosione, le cui immagini hanno scioccato il mondo intero, sono dunque partite una serie di indagini per cercare di venire a capo della società che potrebbe aver prodotti i dispositivi, per poi venderli proprio a Hezbollah. Una delle ipotesi che è emersa negli ultimi giorni vede infatti non una, ma diverse società “ombra” che sarebbero state create appositamente dal Mossad già a partire dal 2022, proprio allo scopo di riuscire a vendere i dispositivi, per finalizzare l’operazione dello scorso 17 settembre. È ancora troppo presto per determinare se questa ipotesi possa essere veritiera, ma nel frattempo, nel caos generale, tra accuse reciproche e intrighi, e è emerso anche il nome di un’italiana che potrebbe essere direttamente collegate al caso: Cristiana Bársony-Arcidiacono, 49enne originaria di Santa Venerina, a Catania.
Secondo le ricostruzioni degli investigatori, Cristiana Arcidiacono – il cui profilo LinkedIn è stato da poco cancellato - potrebbe essere collegata al caso in quanto il suo nome figura come responsabile della società “Bac”, un’azienda ungherese che potrebbe aver finalizzato la vendita dei dispositivi, grazie a una licenzia della “Gold Apollo”, un’altra società di Taiwan. La diretta interessata al momento non è indagata per aver commesso reati o fatti illegali, ma il suo profilo incuriosisce dato che alcune informazioni riportate sul suo conto, sembrano non trovare reale riscontro. Si sa per esempio che si è laureata in Chimica nel 2010, andando successivamente a lavorare all’estero, tra Londra, Parigi, la Guinea e infine Budapest, in Ungheria. Eppure, di lei si dice anche che una persona che vive nello stesso palazzo della sede della società “Bac”, in Ungheria, vedendo le foto che circolano in rete, smentisce trattarsi di Cristiana, che sarebbe invece un’altra persona. Come se questo non bastasse, c’è poi la testimonianza di un presunto ex fidanzato che avrebbe dichiarato che la donna, in passato, durante la relazione era “sempre vaga su ciò che faceva”. Ma chi è dunque Cristiana Arcidiacono?
Il suo curriculum, ricostruito in questi giorni (nonostante il profilo LinkedIn sia, come accennato, “scomparso”), contiene un elenco vastissimo di collaborazioni con atenei prestigiosi, competenze specifiche in ecologia, aspetti scientifici, ricerche su disastri naturali, guerre civili, e persino consulenze con l’Unesco. Se tutto ciò fosse vero, si potrebbe dunque delineare il profilo di una persona brillante, scaltra, invischiato però - forse - in affari di dubbia natura, per non dire loschi. A proposito del suo lavoro alla “Bac” – società il cui nome, aggiungiamo, contiene le tre iniziali del nome della donna, ma forse è solo un curioso caso - in Ungheria, la madre avrebbe detto che Cristiana si sarebbe recata a Budapest in passato per assistere la nonna malata, ma poi, sarebbe stata costretta a chiedere protezione ai servizi segreti ungheresi, dopo aver ricevuto minacce. Anche se, anche in questo caso, la versione non solo non è stata confermata, ma è stata persino negata da alcune fonti.
Rispetto alla vendita dei dispositivi della “Bac”, però, pare che la stessa Cristiana abbia negato – per il momento - di essere la responsabile diretta della vendita, asserendo di aver avuto solo un ruolo di “mediazione”, mettendo in contatto gli acquirenti con la società bulgara “Norta Global Ltd”, un’azienda con sede a Sofia, diretta da tale Rinson Jose, un norvegese d’origini indiane di 39 anni, che sarebbe scomparso dopo l’esplosione di martedì scorso. Inutile dire poi che al momento, seppur sono state avviate delle indagini, le autorità bulgare e i referenti della società a Sofia, abbiano negato qualsiasi coinvolgimento nell’operazione in Libano e che, come accennato, la stessa Cristiana Bársony-Arcidiacono sia scomparsa. A proposito della “Bac”, che, come detto in apertura, avrebbe venduto i dispositivi su licenza della taiwanese “Gold Apollo”, il suo presidente, Hsu Ching-Kuang, ha recentemente raccontato, interrogato dalla polizia, di aver avuto uno strano colloquio in video con un uomo d’affari austriaco – chiamato “Mister Tom” - in cui avrebbe concesso l’uso del suo marchio, anche se ha riferito anche di aver avuto qualche problema proprio con "Mister Toms". Si tratta dunque di un’ammissione? Cosa c'entrano Hsu Ching-Kuang e la sua società in questa storia? Chi è realmente “Mister Tom”? E sopratutto, che fine ha fatto Cristiana Bársony-Arcidiacono? Tantissimi gli interrogativi ancora senza risposta, che non fanno che aumentare i dubbi, in una storia che appare sempre meno chiara, se non piuttosto come un’assurda “crime story” contemporanea, in cui “nessuno sa niente”.