Si chiamava Diego Armando Maradona, e non era solo il calciatore più forte del mondo: era un simbolo, un rivoluzionario del pallone, un profeta di strada capace di trasformare il Sud in leggenda. Eppure, l’uomo che aveva incantato il pianeta con il sinistro più potente mai visto, è morto nel modo più ingiusto e crudele: solo, abbandonato, in un tugurio con un bagno chimico, privo di cure adeguate e, soprattutto, dell’amore che avrebbe meritato. È morto da re decaduto, ma qualcuno ha permesso che succedesse? Dietro il mito del numero 10, c’era un uomo fragile, dipendente dall’affetto e spesso circondato da figure ambigue. A parlare oggi è Angelo Pisani, suo storico avvocato, l’artefice della pace tra Diego e Diego Junior, che per anni ha combattuto al suo fianco e che ora ci consegna una testimonianza potente, scomoda, a tratti sconvolgente. Una versione alternativa, cruda, che solleva interrogativi pesanti sul cerchio magico che lo circondava, sulle cure mancate, sulle scelte mediche discutibili. Pisani non parla solo della fine di Maradona, ma anche del modo in cui il mondo ha trattato un uomo che, da vivo, era troppo ingombrante. E da morto, troppo prezioso.

Avvocato, a parlare di Maradona c’è un ex legale che parla di Diego come uno che assumeva ansiolitici come caramelle, depresso, che i medici erano lì solo per assicurarsi che non bevesse alcolici... Quanto c’è di vero in quello che si dice di lui?
Ormai si sta creando un grande caos attorno alla morte di Maradona, perché ci sono evidenti responsabilità, sia sanitarie che professionali, da parte dei medici che lo hanno curato in maniera irregolare, causandone poi la morte. Dall’operazione, alla convalescenza, fino all’assistenza da parte di psicologi e infermieri che non hanno saputo somministrare correttamente le medicine. E quando le medicine non si somministrano in modo regolare e cronologico, possono diventare veleni. Diego mangiava male, beveva male, perché non era assistito.
Che tipo era?
Un grande bambino. E come i bambini va seguito, educato, assistito. Questo non è stato fatto. È stato lasciato solo, in una casa che non aveva né comfort né sicurezza. C’era un bagno chimico, era un tugurio. Il più grande campione del mondo viveva in quelle condizioni, quasi come un animale in cattività. Quando stava bene si sfogava, e quando era malato, depresso o sotto medicinali, non reagiva. La cosa importante da capire è che per qualcuno Maradona, da morto, valeva più che da vivo. Perché anche se era difficile da gestire, era un genio. Ma da morto, il suo nome, i suoi marchi, la sua storia, valgono molto di più.
Si rende conto che è molto forte quello che sta sostenendo? Come se ci fosse stata un'unica grande regia dietro il suo decesso…
Ci sono responsabilità evidenti da parte dei medici. Chi doveva assisterlo? Chi doveva organizzare l’equipe medica? Chi doveva ottenere i consensi informati? Chi erano le persone di cui lui si fidava? Io, per esempio, sono rimasto con lui fino al 2014, poi ho scelto di tornare in Italia. Non volevo andare a Dubai con lui. Sono tornato a fare l’avvocato a Napoli, continuando a seguirlo solo per la causa fiscale, che abbiamo vinto. Mi riferisco solo agli ultimi mesi, ma quando chiamavo era impossibile parlare con lui. Non me lo passavano. C’erano tanti ostacoli, tanto ostruzionismo da parte del “cerchio magico” che si chiudeva attorno a lui, impedendo il contatto con l’esterno. Avevano deciso di isolarlo. Pensate che sono stato l’artefice della pace tra Diego e Diego Junior, e in quel caso Maradona riuscì a oltrepassare il cerchio magico-nero che non voleva la riconciliazione. Fece vincere l’amore per il figlio.

Chi faceva parte di questo "cerchio magico"?
La casa di Maradona era sempre aperta. Tanti si professavano suoi amici. Lui era generoso, si fidava di tutti, anche delle persone sbagliate. Poi il periodo del Covid ha aggravato tutto. Anche i figli, a mio avviso, avrebbero dovuto trasferirsi a casa sua o portarlo a casa loro, ma sono stati ostacolati o non informati correttamente sul suo stato di salute. Altri, per motivi logistici, non riuscivano a raggiungerlo.
Facciamo un passo indietro: Diego quando inizia ad avere problemi seri?
Forse già da ottobre 2020. Poi c’è stata l’operazione al cervello. Dopo l’intervento, anziché portarlo in una delle migliori cliniche al mondo, lo trasferirono in una casa dove non c’era nulla di clinico. Ciò che gli è mancato è stato l’amore, l’intimità, l’affetto vero. È morto solo, abbandonato. Non è stato ucciso fisicamente, è stato lasciato morire da chi doveva gestirlo e proteggerlo.
Da quanti anni lo conosceva?
Ho iniziato a seguirlo nel 2009, quando non poteva più tornare in Italia. Alcuni ex compagni e giornalisti mi chiesero di intervenire per una transazione col fisco. Gli sponsor erano pronti a pagare per farlo tornare libero. Ma quando gli dissi che quella transazione avrebbe comportato l’assunzione di responsabilità, lui mi disse: “No, io credo a te, sono innocente”. Non volle alcuno sconto. Continuammo la causa, e la vincemmo due mesi dopo la sua morte.
Oggi Maradona è protagonista di una guerra per l’eredità.
Sì, ma involontariamente. Gli eredi oggi sono in causa con chi ha vissuto con lui e ha utilizzato il suo patrimonio. Diego non gestiva i soldi, lo facevano gli altri. Non aveva nemmeno una carta di credito. Non facevamo nemmeno i biglietti per gli aerei.
Maradona ha avuto anche problemi con la cocaina.
Certo, ma Maradona è stato drogato, non era uno spacciatore. Era solo, abbandonato, senza assistenza. Per due-tre anni, tra Barcellona e Napoli, ha vissuto quel periodo, ma poi si è curato, si è salvato, ha combattuto contro la droga.

I figli e la famiglia che ruolo hanno avuto nel suo declino?
Tra i figli c’erano gelosie, rancori, competizione. Dopo la morte, però, si sono uniti per cercare la verità. Se fossero stati più vicini tra loro prima, forse avrebbero potuto evitare che certe persone vivessero con lui e lo sfruttassero. Ma bisogna anche capire che i figli vivono in posti diversi, con traumi personali. Non è facile essere figli di Maradona.
Come intendono procedere ora per accertare la causa della morte?
Stanno tutti lavorando per dimostrare che non è morto per cause naturali, ma per negligenza, mancanza di amore e cattiva gestione. Doveva essere curato in una clinica, non in una casa senza assistenza, con un bagno chimico. È morto in un letto, non in ospedale.
Quando l’ha sentito l’ultima volta?
Quattro o cinque mesi prima della morte. Poi ho provato a chiamarlo, ma non me lo passavano più, neanche i figli ci riuscivano. Per parlargli, bisognava prendere un aereo e andare da lui.
Che uomo era, oltre la leggenda?
Generoso, altruista, sensibile, con l’intuito e la genialità di un bambino. Difendeva i compagni, i napoletani, gli argentini. Non ha mai fatto compromessi. Ha sempre creduto nella sua verità. Molti suoi messaggi, oggi, si rivelano profetici. Come quello sul calcio moderno: vent’anni fa denunciava la commercializzazione dello sport.
Un suo rimpianto?
Forse vivere con tutti i suoi figli uniti a Napoli. Ci ha provato, ma non ci è riuscito.

Soffriva il paragone con Pelé?
Mai. Non aveva invidia. Era il mondo che lo metteva a confronto con altri. Lui guardava tutti con ammirazione, anche i giovani. Guardava tutte le partite, anche dei giocatori meno famosi.
Com’era vivere con lui?
Dormiva per giorni. Non aveva orari, non seguiva regole. Viveva a modo suo. Era un entusiasta della vita tanto che un giorno ci fu un aneddoto che non potrò mai dimenticare: mi disse che allo stadio aveva visto un miracolo vero e proprio, con i suoi occhi. Mi disse “Angelo dopo il mio gol gli invalidi si sono alzati e hanno cominciato a correre per esultare”. Poi però gli dovemmo spiegare che erano falsi invalidi che facevano di tutto per entrare allo stadio e vederlo giocare.
Si dice che Diego sia morto povero. È vero?
No. Aveva patrimoni e soldi ovunque, anche se non li gestiva lui. Solo il marchio "Maradona" vale più del Papa, del presidente degli Usa o della Coca Cola. Non avete nemmeno idea del valore simbolico e commerciale che possiede tutto ciò che viene accostato al suo nome. Siamo davanti a cifre incalcolabili per cui nessuno ancora oggi, a distanza di anni dalla sua morte, è riuscito a fare una stima concreta. Per quanto riguarda ciò che ha lasciato in liquidità, invece, siamo probabilmente intorno ai 30 milioni, tra orologi, case, oro, coppe, maglie... Adesso però è tutto congelato e gestito da un commissario in Argentina.
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