Per capire il presente bisogna partire dal passato, dice il saggio. E chi meglio dei veterani della politica può interpretare la bruciante attualità delle ultime elezioni, a maggior ragione se magari sono ancora in sella e portati pure in trionfo degli elettori? Tommaso Foti di Fratelli d’Italia è il decano della destra di Piacenza, città di Pierluigi Bersani e dell’ex ministro Paola De Micheli, oggi in corsa per la segreteria del Pd dopo la debacle elettorale. Foti è stato rieletto alla Camera dei Deputati con il 52,5% dei voti, cifra mai raggiunta prima nel collegio piacentino.
Il cuore dell’Emilia (ex) rossa batte a destra, onorevole Foti. Come dire che il Pd ha perso perfino nella sua roccaforte. Quali sono le cause profonde?
A livello locale, anzitutto direi che essendo io uomo di territorio, un contributo l’ho dato anch’io. Dopodichè, qualcuno pensava che avendo perso il centrodestra le elezioni comunali nel capoluogo a giugno questo risultato ribaltasse quello che ci si aspettava per le politiche, in realtà è stato proprio quello a essere stato ribaltato e il centrosinistra è rimasto al palo. L’unico dei tre collegi plurinominali in cui FdI sopravanza il Pd è proprio Piacenza-Parma-Reggio.
Ma andando più a fondo, al di là della contingenza del momento?
Beh, qua si vede in pieno la crisi della sinistra: in alcuni ceti il loro messaggio non attacca più. Queste sono zone estremamente produttive, in cui abbiamo un Pd che si preoccupa molto di diritti civili, ma poco dei civili che reclamano dei diritti quali il diritto a poter lavorare e il diritto a poter pagare tasse eque ottiene poi questi risultati.
Ha dimenticato i diritti sociali, insomma, il Pd.
La loro campagna è stata molto più fumosa, con attacchi solo personali, senza offrire un’idea di cosa avrebbe fatto. Se lei mi chiede chi era il candidato alla Presidenza del Consiglio del Pd, non saprei rispondere, perché non l’ho capito. Mentre nel centrodestra c’era una competizione interna, fra Letta e Fratoianni competizione non ce n’era, perché si sapeva fin dall’inizio che il primo avrebbe preso più voti del secondo. Diciamo che Fratoianni e Bonelli non erano esattamente emblemi positivi agli occhi di tutta quella parte produttiva di società locale.
Eppure è proprio da Piacenza che idealmente prende le mosse un’autocandidatura a succedere a Letta, quella dell’ex ministro delle infrastrutture nel Conte 2, Paola De Micheli. Lei che politicamente la conosce bene, come se la immagina, da segretaria del Pd?
Non sono abituato a giudicare gli altri. Lei guidava la lista nel collegio plurinominale, in cui, ripeto, il Pd è stato battuto dal vecchio Foti. Credo di averle già dato una risposta.
È stata rieletta nel listino, comunque.
È una perdente di successo, e va bene così.
Utilizziamo la ex renziana, ex zingarettiana, e fino oggi lettiana di ferro De Micheli per capire la sconfitta del Pd. La ex ministro ha dichiarato a Repubblica (29/9) che il Pd ha sbagliato nel non dire “cose nette e radicali”, e che quando hanno cominciato a dirle, come il mea culpa sul Job’s Act renziano, “era troppo tardi”. Condivide?
Le faccio una domanda: un partito che è stato otto anni al governo negli ultimi dieci anni, per cosa è stato al governo, se non per realizzare la propria politica? È stato al governo solo per le poltrone e il potere? Se si sta al governo ci si sta anche per portare avanti quanto meno un programma elettorale. Ora dice che avrebbero dovuto fare svolte radicali… Signori, quando eravate al governo, dovevate farle. Erano a Palazzo Chigi con Letta, con Renzi, con Conte, con Draghi (che quanto a decisioni, non si può certo dire che fosse un indeciso). In una campagna elettorale di 20-25 giorni c’è sì una componente programmatica, ma c’è soprattutto una valutazione da parte dell’elettorato sugli anni precedenti.
Sempre la De Micheli un anno fa giustificava il “governismo” del Pd sostenendo che interpretavano in parte il ruolo che fu della Dc, ovvero la responsabilità di governare pur facendo scelte difficili.
La Dc era sicuramente una confederazione di correnti, ma aveva una rappresentazione di tutti i ceti sociali per cui difficilmente ne lasciava indietro qualcuno. A me pare che la sinistra abbia da tempo perso contatto con quella realtà di riferimento naturale che consisteva da parte dalla fabbrica, che pure si è certamente evoluta, e dall’altra da quei cittadini che si sentono abbandonati su temi come l’immigrazione e la violenza. Le dirò di più: ho fatto uno studio sui dati di Fratelli d’Italia nei Comuni di montagna dell’Emilia-Romagna, e direi che sono abbastanza clamorosi, perché il risultato in quelle aree, cosiddette marginali, è ben più forte per il mio partito di quel che si potrebbe pensare. È un elemento molto indicativo.
Indicativo di un bisogno, di una fama di sicurezza e attenzione?
Esatto, proprio così.
La De Micheli fa appello alla base dei militanti semplici per ricostituire il partito. Lei ha contezza che a Piacenza la base del Pd sia con la De Micheli?
Secondo me l’elettore del Pd si aspetta dei punti di riferimento certi sotto il profilo di quali obbiettivi e di quale società vuole andare a interpretare. Dopodichè, e l’ho sempre pensato, il segretario di un partito è sicuramente il megafono per eccellenza, ma un megafono senza idee non dice niente. Sinceramente, non avverto alcuna frenesia per la De Micheli. Direi piuttosto che la maggioranza delle persone a sinistra, secondo me, è per un rinnovo ampio della classe dirigente.
L’altro candidato in pectore per diventare segretario del Pd è Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia-Romagna. Ha un’immagine da buon amministratore, come Luca Zaia per il centrodestra. Un mito da sfatare?
Io ho conosciuto il Bonaccini 1, eletto nel 2014, in una situazione in cui era andato a votare circa il 32% degli elettori. Devo dire che non è che abbia fatto delle grandissime cose, ha gestito la difficoltà in cui versava il Pd perché c’era stata Rimborsopoli, che poi è finita in niente. Poi c’è stato il Bonaccini 2, quello della campagna elettorale contro la Borgonzoni (della Lega, ndr), che si è dato un altro taglio che definirei efficientista, differenziandosi dall’immagine dell’uomo di sinistra quale è. Ma quanto a risultati, voglio dire: sul Passante di Bologna, siamo ancora lì; l’autostrada Cispadana, non si vede ancora; sull’autonomia, sembrava che si chiudesse il cerchio dopo venti giorni, nel 2017, e son passati cinque anni. Sul Covid, posso ammettere che la sottovalutazione iniziale sia stata un problema non solo emiliano-romagnolo, ma vogliamo parlare delle liste d’attesa?
Ma quindi Bonaccini l’ultima volta alle regionali ha vinto grazie a un’operazione di maquillage?
Ha saputo vendersi molto bene, in quella campagna che poi è proseguita perché da allora è sempre in televisione. Diciamo che la campagna, più che contro la Borgonzoni, l’ha fatta contro Salvini, che era quasi ogni giorno in Emilia-Romagna. Il richiamo della foresta per il popolo della sinistra ha funzionato. Le Sardine sono uscite in quel periodo lì, e poi sono finite sotto aceto perché non si son più viste. C’è stato tutto un movimento che Bonaccini ha saputo polarizzare, ma attenzione, non dappertutto: nella provincia di Piacenza ha perso, nella provincia di Parma ha perso, a Ferrara ha perso, e ha perso a Rimini. Ce l’ha fatta con le città allora “rosse”. Oggi non sono più sicure neanche quelle, come Modena.
Però anche Matteo Salvini ci mise del suo. L’ha detto anche lei: era lì un giorno sì e uno no.
Dico solo questo: tenerla sul piano amministrativo più che politico, è meglio.
Una terza candidata per guidare il Pd è un’altra emiliana, la vicepresidente dell’Emilia-Romagna, Elly Schlein. Ha delle chances, secondo lei?
Con la Schlein il Pd si sposta decisamente a sinistra, o meglio, si sposta sui temi che stanno a cuore alla Schlein.
Che sono i diritti civili di cui si parlava. Continuità, più che rottura.
Diritti civili, sì. Detto questo, dei tre l’unico che potrebbe dare una scossa al Pd è Bonaccini.
Vuole dire l’unico che potrebbe mettere in difficoltà il centrodestra?
Non lo so, ma è certo che i segretari nazionali del Pd che provengono dall’Emilia-Romagna non hanno avuto molta fortuna (ride, ndr). Pensi a Bersani. Ma comunque, immagine a parte, anche per Bonaccini it’s a long way to Nazareno, lunga è la strada per la segreteria. Se in questa Regione il Pd avesse fatto il pieno, potrebbe presentarsi come un modello, ma invece, se vogliamo dir così, è crollato anche l’ultimo avamposto della sinistra.
A proposito di essere di sinistra. Per la De Micheli essere di sinistra è “pagare meno tasse se guadagni poco”. Ed essere di destra, cos’è?
In alternativa, potrei rispondere essere di destra significa lasciare libera la persona dal dover lavorare sette mesi all’anno per pagare le tasse.
E oltre la battuta?
Una persona di destra ha il senso dello Stato, ha il senso della Vita, e ha il senso di un’appartenenza intima che può essere religiosa al di là della confessione.
Mi ha dato la traduzione un po’ più tecnica del motto “Dio, Patria, Famiglia”.
Può essere la traduzione più semplificata, sì. Ma comunque, penso che oggi la preoccupazione più grossa degli italiani sia come affrontare il Generale Inverno.
Senz’altro. Il Pd però ha cavalcato molto il tema dell’antifascismo, contro di voi.
I tempi sono cambiati, è una polemica ormai sterile. Osservo che, se confrontata con trent’anni fa, questa campagna elettorale è stata una roba da educande. Che poi sia stata incattivita da continui attacchi personali, questo è stato un altro grande errore della sinistra. Si dovevano preoccupare di proporre idee migliori, non di fare una campagna in negativo. L’accanimento contro l’avversario porta la gente a mandarti al diavolo. È stata una campagna evanescente, senza un forte tema economico, da parte di Letta. Letta, fra l’altro, che fu quello che fece i decreti di liberalizzazione del gas, voglio ricordare.
Ma la demonizzazione dell’avversario viene dal cambiamento generale della politica in senso personalistico, leaderistico. Anche Berlusconi dava dei comunisti a Occhetto, D’Alema.
Non so se la sinistra ci abbia mai guadagnato, dalla personalizzazione dello scontro. È stato così per vent’anni con Berlusconi. Era un diversivo, ma come tutti i diversivi alla lunga non paga. Come infatti non ha pagato demonizzare la Meloni.