Un partner economico con il quale collaborare e risolvere le crisi globali o un nemico silenzioso pronto a sfruttare le debolezze dell’Occidente per rubargli la scena? Esperti e analisti sono divisi su quale chiave di lettura utilizzare per decifrare la Cina, gigante asiatico in ascesa le cui scelte strategiche, più o meno indirettamente, influenzano da ormai diversi anni la nostra economia quotidiana. L’ultima causa di attrito economica tra Unione europea e Pechino coincide con le auto elettriche made in China, pronte a penetrare i mercati del Vecchio Continente ma nel mirino di Bruxelles per una presunta alterazione della concorrenza. Questa è solo la punta dell’iceberg perché, come ha spiegato Marco Lupis nel suo ultimo libro Ombre cinesi sull’Italia. Le mire espansionistiche di Pechino, edito da Rubbettino, in profondità c’è molto altro. C’è da considerare il piano economico, certo, ma anche la complessa sfida geopolitica che contrappone due universi diversi. Con obiettivi non sempre conciliabili e caratterizzati da un’elevata e reciproca diffidenza. MOW ha intervistato Lupis, giornalista, fotoreporter e scrittore, già corrispondente e inviato speciale dall’Estremo Oriente e soprattutto da Hong Kong, per approfondire l’argomento. Anche perché, se la politica considera la Cina, nella migliore delle ipotesi, un rivale sistemico, il mondo dell’economia si muove su binari ben diversi. Del resto, i più importanti Ceo statunitensi, nel corso degli ultimi mesi, hanno effettuato quasi tutti un pellegrinaggio a Pechino. Le grandi aziende tedesche stanno cercando di rafforzare la loro posizione nel mercato cinese. E lo stesso può dirsi di quelle francesi.
Il suo ultimo libro si intitola Ombre cinesi sull’Italia. Di quali ombre sta parlando? Cosa sta succedendo?
Ombre cinesi sull’Italia ricostruisce la storia, le modalità e le dinamiche della silenziosa ma costante penetrazione della Cina nel nostro Paese, con particolare riferimento all’ultimo decennio e cerca di dare una risposta a una domanda che si fa sempre più urgente: riusciremo a controllare le mire espansionistiche di Pechino?
Lei parla di infiltrazioni cinesi nelle istituzioni politiche italiane, negli affari e nella finanza. Può farci qualche esempio?
Beh, come si direbbe oggi, non sarebbe saggio da parte mia “spoilerare” quello che racconto nel libro, ma posso assicurare che i lettori resteranno stupiti. Ci sono grandi gruppi editoriali, grandi università, aziende che – prima di venire “infiltrate”, o sarebbe meglio dire conquistate dai capitali cinesi – erano autentici fiori all’occhiello dell’imprenditoria italiana. Leggere per credere! E d’altra parte non c’è soltanto la Russia a utilizzare il web e i mezzi più raffinati e disparati per organizzare campagne di influenza contro Paesi ritenuti avversari o nemici. Una larga parte dell’infosfera mondiale e italiana è inquinata da contenuti disinformativi made in China. Contenuti che vengono ripresi e diffusi da studiosi, agenzie di stampa e politici i quali – a una ricerca nemmeno troppo approfondita – rivelano legami a dir poco imbarazzanti col governo cinese.
Le dinamiche da lei fotografate nel volume sono le stesse che muovono gli interessi globali di ogni grande potenza, dagli Stati Uniti alla Russia passando, appunto, alla Cina. In cosa si differenzia lo sharp power cinese da quello di altri Paesi?
Prima di tutto le influenze americane sulla nostra società sono estremamente dichiarate, potremmo definirle palesi. Invece l’espansionismo di Pechino si attua secondo metodi subdoli, attraverso l’espansionismo economico che potremmo definire “trasversale” ma poi, soprattutto, l’assalto ai nostri asset strategici da parte di Pechino, per esempio i porti o talune società editoriali, presenta seri rischi per la tenuta democratica del nostro Paese, in quanto – e non credo che si possa sostenere il contrario – la Cina non è certo una democrazia.
Fino a qualche anno fa la Cina veniva considerata un’opportunità da sfruttare (soprattutto per le aziende occidentali, desiderose di tuffarsi nell’immenso mercato d’oltre Muraglia). Perché adesso la narrazione è improvvisamente cambiata?
In realtà la Cina resta sempre una grande opportunità, per le nostre aziende, ma la presenza cinese nell’azionariato, va regolamentata e tenuta sotto controllo, per esempio perché bisogna considerare che qualsiasi azienda cinese è tenuta – per legge – a collaborare a qualsiasi richiesta da parte dell’intelligence del suo Paese: in soldoni, non può rifiutarsi di fare la spia per conto del Partito Comunista Cinese.
Italia e Belt and Road. L’uscita di Roma dalla Nuova Via della Seta è stata una liberazione o un’occasione persa. C’è chi sostiene che il governo italiano non sia stato in grado di far valere i propri interessi.
Francamente, visto come è andata – e il mio libro lo spiega nei dettagli, dati alla mano – direi proprio che si è trattato di una liberazione e di un (tardivo) ravvedimento…
Uno sguardo al futuro: l’Arabia Saudita potrà diventare la “prossima” Cina?
Forse. A suo favore, se così possiamo dire, gioca il fatto che il regime di Riad non brilla certo per rispetto dei diritti umani e democrazia. Quindi ha molto in comune con Pechino.