Paolo Del Debbio, giornalista, opinionista televisivo e docente noto per il suo stile schietto e diretto, firma su La Verità un intervento che non passerà inosservato. Al centro della sua riflessione c’è una critica decisa al sistema industriale italiano, dominato da pochi grandi gruppi e, in particolare, al colosso Stellantis, accusato di pensare più agli interessi finanziari che a quelli del Paese. Secondo Del Debbio, per anni chi provava a difendere le piccole e medie imprese italiane veniva guardato con sufficienza, bollato come nostalgico o passatista, mentre le élite economiche – con in prima linea le grandi famiglie Benetton, Agnelli, Del Vecchio e De Benedetti – spingevano per un “oltre” fatto di fusioni internazionali, delocalizzazioni e concentrazione del potere. Oggi, però, il conto di quelle scelte sembra arrivato: Stellantis chiude stabilimenti, taglia posti di lavoro, guarda altrove. Intanto, le piccole e medie imprese, silenziose e ostinate, continuano a tenere in piedi l’occupazione reale, quella quotidiana e concreta. Del Debbio non ha dubbi: Se questo doveva essere il futuro, allora non c’era motivo di abbandonare il passato. E rivendica con forza che chi ha sempre creduto nelle Pmi, chi ha difeso il tessuto produttivo locale, oggi ha pienamente ragione. Un messaggio controcorrente che riapre una discussione estremamente necessaria.

Le Pmi massacrate e i grandi che spadroneggiano
Le piccole e medie imprese italiane, che rappresentano oltre il 97% del tessuto imprenditoriale nazionale, sono da anni schiacciate da una pressione fiscale insostenibile e da una giungla di regolamentazioni che sembra fatta apposta per ostacolarle. Con una pressione fiscale complessiva che in Italia raggiunge il 42,8%, e aliquote che partono dal 23% per i redditi più bassi e arrivano fino al 43% per quelli sopra i 75.000 euro, chi lavora e produce viene spesso trattato come un bancomat dallo Stato. Produrre reddito in Italia oggi è diventato un’impresa titanica, soprattutto per chi ci prova davvero: tasse alte, burocrazia soffocante e pochissimo riconoscimento. Eppure, sono proprio le piccole e medie imprese, quelle che non finiscono in copertina e non hanno santi in paradiso, a sostenere ogni giorno l’economia reale, creando occupazione, generando ricchezza e portando il Made in Italy nel mondo con un export competitivo. Nel frattempo, i grandi gruppi alzano la voce, raccolgono consensi e vengono osannati, mentre certi intellettuali continuano a riempire l’aria di teorie su innovazione, finanza e globalizzazione. Ma la realtà è un’altra, più concreta e più ingiusta: chi lavora davvero viene spremuto, chi sta in alto viene celebrato.

E quindi niente più grandi aziende? Potere ai piccoli?
Secondo Del Debbio, avere grandi imprese italiane è certamente un obiettivo importante e auspicabile per il nostro Paese. Tuttavia, la realtà che si osserva è ben diversa da quella promessa: molte di queste aziende, spesso controllate da famiglie potenti come i Benetton, gli Agnelli, i Del Vecchio e i De Benedetti, hanno succhiato a mani basse soldi dallo Stato senza mai mostrare un minimo segno di riconoscenza o rispetto verso l’Italia che le ha sostenute. Non si tratta di demonizzare i grandi gruppi industriali, ma di denunciare un sistema che, nonostante gli aiuti e i finanziamenti pubblici, continua a dimenticare chi davvero tiene in piedi l’economia reale, le piccole e medie imprese. Queste ultime, spesso invisibili e senza grandi riflettori, sono invece quelle che creano lavoro e valore ogni giorno, pagando un prezzo altissimo in termini di tasse e burocrazia. Per il giornalista, questa è una ingiustizia evidente e un problema che va affrontato con urgenza, se vogliamo davvero dare una svolta al nostro Paese.
