Il mistero di Garlasco non si spegne. Sono passati quasi vent’anni dal 13 agosto 2007, quando Chiara Poggi, 26 anni, fu trovata senza vita nella villetta di famiglia, ma qualcosa continua a non tornare. Il caso che ha diviso l’opinione pubblica, distrutto due famiglie e condannato Alberto Stasi all’ergastolo, torna prepotentemente sotto i riflettori per una nuova possibile crepa nel muro giudiziario: il computer. O meglio, i computer. Quelli di Chiara e di Alberto. A far riesplodere la miccia è stato Daniele Occhietti, perito informatico che nel 2009 partecipò alla perizia tecnica. Lo ha fatto davanti alle telecamere di Zona Bianca, con una frase che sa di detonatore: “Chiara non ha mai aperto quei file pornografici sul computer di Stasi, e non ci sono prove che quei contenuti l’abbiano sconvolta”. E allora, viene da chiedersi, perché quegli stessi file sono stati a lungo al centro del movente? Occhietti ha alzato il velo su un dettaglio che rischia di rimescolare tutto. A suo dire, Chiara avrebbe potuto scoprire contenuti sensibili non nel pc del fidanzato, ma nel proprio. E quei contenuti, secondo il perito, non è detto che li abbia visti lei. Il suo computer, infatti, poteva essere stato usato anche da altri. Chi? Quando? Perché? Domande rimaste sospese in un’indagine che ha sempre avuto il fiato corto sul fronte informatico. Ma non è finita qui. C’è un secondo tassello che inquieta ancora di più. Roberto Porta, altro perito, ha raccontato che sul pc di Chiara sarebbero comparse strane ricerche, con parole chiave che suonano come piccoli allarmi dimenticati: “sesso” e “Garlasco”. Un’accoppiata morbosa, che lascia intravedere un possibile collegamento tra l’universo privato di Chiara e l’ambiente in cui è maturato il delitto. La cosa sconcertante, però, è un’altra: quelle ricerche sarebbero state effettuate in momenti in cui Chiara non era nemmeno in casa. Come può averle fatte lei? È stato forse qualcuno che aveva accesso al suo computer, magari una persona insospettabile, capace di muoversi tra file e cronologie senza lasciare tracce evidenti? È qui che il caso si complica ancora, come un nodo che più lo tiri più si stringe. La pista informatica, a lungo sottovalutata, torna centrale, ma con l’ombra di un’amnesia collettiva. Occhietti ha proposto una nuova analisi: secondo lui, le copie dei dispositivi sono ancora disponibili e con strumenti moderni si potrebbe forse scoprire ciò che allora sfuggì.

Eppure, resta il dubbio più grande. Serve davvero un’altra perizia per cambiare qualcosa? Oppure, dietro questa insistente nebbia di dati e ipotesi, si nasconde qualcosa che nessuno ha voluto vedere? La verità su Garlasco sembra muoversi come un riflesso in uno schermo rotto: appare e scompare, lascia intuire ma non si fa mai afferrare. E mentre Alberto Stasi sconta la sua pena, le domande restano tutte lì, irrisolte. Perché non ci sono impronte, non ci sono certezze definitive. Solo quel maledetto “ragionevole dubbio” che aleggia su ogni passaggio processuale. Chiara Poggi continua a gridare silenziosamente da quelle stanze vuote, da quei file mai aperti, da quelle ricerche fatte forse da altri. Il pubblico si chiede se un giorno, dopo quasi vent’anni, si potrà scrivere la parola fine su questa vicenda. Ma ogni volta che sembra vicina, la verità scivola via, come se qualcuno – o qualcosa – non volesse mai lasciarla emergere del tutto.
