Stop all'educazione sessuale e affettiva a scuola, si punta tutto sulla fertilità. Come dire, l'amore è un concetto ottocentesco, l'importante è andare a segno, essere performanti dal punto di vista riproduttivo. È una lettura a fette grosse, ma ci si chiede come mai il governo abbia deciso di voler cambiare destinazione al fondo di cinquentomila euro, previsto in legge di bilancio, dall'educazione sessuoaffettiva alla prevenzione dell'infertilità. Educazione sessuoaffettiva. Detta così sembra anche una roba noiosa, da accademici. Per certi versi lo è: seguendo le linee Unesco la ritroviamo definita come una serie di insegnamenti che integrano gli aspetti “cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità”. Non si tratta soltanto di sfatare il mito della cicogna. Cuore, testa e corpo, moltiplicati per entrambi gli individui della relazione, quindi elevati alla massima potenza della società intera. La quale esiste, ricordiamolo, perché le persone hanno l'impulso ad accoppiarsi. C'è qualcosa di male nello spiegare queste cose a dei ragazzi? Citiamo sempre Unesco: “sviluppare relazioni sessuali e sociali rispettose, realizzare la propria salute, benessere e dignità”. Paura? Forse quello che spaventa alcuni politici sono i passaggi sul “decostruire i ruoli”, perché entrano nel terreno scivoloso, ma fertile dal punto di vista elettorale, della cosiddetta ideologia gender. Però perché puntare tutto sulla fertilità? Lo abbiamo chiesto a Nada Loffredi, famosa per essere la sessuologa tv di Matrimonio a prima vista, ma anche psicoterapeuta e docente alla Sapienza di Roma.
Dottoressa Loffredi, ci può dare una definizione chiara e semplice di educazione sessuoaffettiva?
L'educazione sessuale è stata tradizionalmente intesa come un insieme di spiegazioni tecniche, spesso troppo rigide, non sempre adattate alle caratteristiche dei ragazzi a cui è rivolta. Questo approccio l’ha resa, in passato, un po' sterile. Con il tempo, però, si è sviluppata una prospettiva più ampia che non si limita alla biologia della sessualità ma la considera anche come espressione di comunicazione e sentimenti, come un comportamento umano. Tuttavia, per esperienza, posso dire che questi processi educativi sono spesso sottovalutati, perché le modalità con cui vengono attuati – sporadicamente, magari come attività extracurricolare – non riescono a essere efficaci. I ragazzi spesso li vivono con imbarazzo, o come un diversivo poco incisivo. Questo rende necessario ripensare il metodo. Non si può educare alla sessualità e all’affettività in modo isolato o occasionale: serve una continuità trasversale, che faccia parte della loro quotidianità. Purtroppo, però, i messaggi pervasivi dei media tendono a prevalere e a influenzare i comportamenti e le abitudini dei ragazzi più profondamente di qualsiasi intervento educativo. Questo ci rende impotenti di fronte alla possibilità di un vero successo nei percorsi educativi.
Magari i ragazzi percepiscono questi argomenti come troppo intimi o segreti?
Sì, c'è una certa resistenza, ma molto dipende dalla figura che hanno davanti. Che sia un insegnante, un sessuologo o un genitore, è essenziale che questa persona sia risolta e priva di inibizioni sul tema. I ragazzi percepiscono facilmente l’imbarazzo o i blocchi degli adulti, e questo può influenzare negativamente il dialogo. Spesso i miei pazienti ricordano con disagio come si affrontava il tema della sessualità in famiglia o a scuola, a prescindere dall’aver partecipato o meno a corsi specifici. È un argomento delicato, che si presta facilmente a suscitare resistenze.
Cosa ne pensa della polemica politica sull’educazione sessuale e sull’ideologia gender?
Credo che il discorso debba essere affrontato non come un tema a sé stante, ma integrato in una formazione più ampia, che parta dal rispetto verso l’altro e dai sentimenti in maniera generale e universale. Quello che bisognerebbe insegnare ai ragazzi è riconoscere le emozioni, saperle chiamare per nome. Molti giovani non sono in grado di leggere le proprie emozioni, non sanno comprenderle e gestirle. Se non sai riconoscere che stai provando rabbia, irritazione o disgusto, rischi di reagire in modo inappropriato. L’educazione al rispetto e alla fiducia deve essere universale, e non rivolta solo a specifiche categorie. È chiaro che storicamente alcune minoranze sono state più discriminate, ma ciò dipende da una carenza generale di educazione ai valori umani fondamentali, che vanno insegnati a tutti. Stima dell’altro, fiducia, rispetto.
Il programma sull'educazione sessuale e affettiva menziona la necessità di “decostruire ruoli e identità di genere”. Cosa ne pensa?
È una necessità sempre più evidente, anche a livello di linguaggio. Lo si è capito da tanto tempo ormai che la visione dicotomica maschio-femmina non riflette la complessità della realtà. Ognuno di noi non si posiziona in un polo e nell’altro, ma in un continuum che non può essere ridotto a categorie rigide. La lingua italiana ci offre sfumature per descrivere questa complessità, e ampliarle non significa confondere, ma comprendere meglio la diversità umana. Ora, rispetto a un tempo, si avverte maggiormente l’esigenza di diversificare le definizioni, ma questo vuole soltanto dire che c’è maggiore libertà, quindi ben venga. Tuttavia, ripeto, le sfumature esistono da sempre. Cambiano soltanto le parole che usiamo per connotarle.
Mi viene in mente Catullo, che nelle sue poesie usava il termine invertito per attaccare i suoi nemici.
Basti pensare che fino al 1974 l'omosessualità era inserita nel manuale diagnostico psichiatrico, e anche Freud nel 1904 parlava di inversione. Certo, la cultura cambia, così come cambia il significato che diamo alle cose, e questo soprattutto nell'ambito della sessualità, perché la sessualità è intrisa di cultura.
Cultura: il Deputato Sasso della Lega aveva detto che non si può parlare di “porcherie” a scuola.
Se si parte dal pregiudizio che la sessualità sia una “porcheria”, sarà impossibile costruire un dialogo efficace. A scuola si deve usare un linguaggio adatto all’età e al contesto, certo, ma parlare di sessualità come fosse qualcosa di sporco o pericoloso crea solo chiusura. In questo modo siamo ben lontani dalla possibilità di fare un lavoro di apertura. Questo atteggiamento trasmette ai ragazzi un messaggio sbagliato, che condizionerà negativamente il loro approccio al tema perché i ragazzi penseranno: ecco, adesso arriva la sessuologa a scuola per parlare di porcherie.
Ragazzi, ma anche bambini: a partire da quando si potrebbe iniziare a educare alla sessualità?
Nel mio libro Parliamo d’amore, in tempi tra virgolette non sospetti, ho già affrontato la necessità di un’educazione sessuale e affettiva fin dalla prima infanzia, quando il bambino inizia a comprendere il linguaggio. Un dialogo aperto e graduale evita quel silenzio imbarazzato che porta molti genitori a parlare di sessualità solo quando temono gravidanze indesiderate o comportamenti rischiosi. Altrimenti la sessualità diventa un tabù, qualcosa di sporco o pericoloso, anziché una parte naturale della vita.
Ora si parla di formazione sulla fertilità. Come si può affrontare un tema così tecnico senza integrare la parte affettiva?
È un approccio miope. Parlare di fertilità come fosse una performance da ottimizzare rischia di privare l’argomento del suo valore umano. Fare figli non dovrebbe mai essere una dimostrazione di salute o efficienza, ma una scelta consapevole in un contesto affettivo. Altrimenti, si rischia di creare famiglie dove manca la base fondamentale dell’amore e del rispetto.
Un ragazzo delle superiori può essere interessato al sesso, ma a fare figli?
Assolutamente no, a maggior ragione in un periodo storico come questo in cui i tempi sono slittati in avanti.
Mezzo milione per parlare di fertilità o infertilità è inutile?
Sì, sono d’accordo, è inutile. Sarebbe meglio fare qualcosa di diverso.
Lei ha parlato dell’idea di “uomo vero”, è il modello che questo genere di politica vuole salvare?
Ne ho parlato nel mio ultimo libro, Le dimensioni non contano. Non essendo io un sociologo ho la mia piccola casistica, e non posso generalizzare. Tuttavia questo modello ha ancora un certo fascino, soprattutto per molte donne, che però finiscono spesso deluse dagli aspetti negativi di questo archetipo: mancanza di empatia, sensibilità, o peggio, atteggiamenti violenti. È un concetto che andrebbe decostruito, ma è difficile perché è profondamente radicato nella cultura.
C’è anche la questione della musica trap, con i suoi testi e le polemiche sul maschilismo, come nel caso di Tony Effe.
Certi contenuti sono un problema serio, soprattutto per i più piccoli, che sono facilmente influenzabili. Dovremmo fare più attenzione ai messaggi che trasmettiamo attraverso i media e la musica. È importante tutelare i più giovani, che assorbono questi messaggi senza strumenti critici per interpretarli. Ecco, per tornare a prima: queste sono le vere porcherie, non la sessualità.
A proposito di Media, Zuckerberg ha fatto passi indietro su fake news e discriminazione.
Quella che abbiamo noi, rispetto ai ragazzi, è una falsa idea di controllo. Per quanto si possa stare attenti, l'unico modo per non esporre i ragazzi ai rischi che derivano dai social network sarebbe evitare accuratamente di frequentarli, non dando il cellulare in mano ai ragazzi.
Non si può educare, in quel senso?
Si può provare ma lo smartphone è uno strumento molto insidioso perché porta inevitabilmente ad una forma di dipendenza, e come tutte le dipendenze poi scatena tutta un’altra serie di conseguenze problematiche. Violenza compresa.
Educare all’affetto può salvare dalla violenza?
Assolutamente sì. Su questo non abbiamo dubbi.