Ieri almeno 112 palestinesi sono stati uccisi e 760 feriti mentre cercavano di ottenere aiuti umanitari a Gaza. L’incidente è avvenuto poche ore prima che il ministero della Sanità di Gaza annunciasse che più di trentamila persone, tra cui ventunomila bambini e donne, erano state uccise a Gaza dall’inizio dell’attuale conflitto, il 7 ottobre. Circa settemila sono i dispersi e 70.450 i feriti. Martedì, un alto funzionario delle Nazioni Unite ha avvertito che almeno 576.000 persone nella Striscia di Gaza – un quarto della popolazione – si trovano ad affrontare livelli catastrofici di insicurezza alimentare e che un bambino su sei sotto i due anni nel nord del Paese soffre di malnutrizione acuta e deperimento. Dieci bambini sono morti per disidratazione e malnutrizione negli ospedali del nord di Gaza negli ultimi giorni, ha dichiarato il ministero della Sanità. Come possiamo essere arrivati a questo? Mi viene in mente una frase di Alma Alghoul, scrittrice palestinese che insieme a Sélim Nassib ha scritto La Ribelle di Gaza, appena uscito in Italia per Edizioni E/O: “Credo che i nostri veri occupanti siano occupanti interni. Hamas, al-Fatah, i partiti… poi c’è la grande occupazione, quella di Israele. Non possiamo sbarazzarci della grande se non ci sbarazziamo prima delle piccole. La verità è che siamo sottoposti a un assedio mentale molto più imponente dell’assedio alle frontiere”. Ma adesso è più che mai lontana la soluzione di due popoli in due Stati. Comunque, anche noi in Occidente siamo sottoposti a un assedio mentale meno sanguinoso ma non per questo meno violento. Siamo stati bombardati per anni dal mistero del male. La metà più tranquilla del Novecento ha assistito alla celebrazione continua del Grande Male sperando che non ricapitasse più. Perché quel Male aveva anche distrutto l’Europa. E in quella celebrazione del male la nostra civiltà si è persa, ha iniziato a sbriciolarsi, a sciogliersi e a diventare liquida. Abbiamo divorato i nostri figli nutrendoci lentamente del loro futuro mentre in tv e alla radio passava l’eco delle nuove guerre sante, dei nuovi mali buoni che abbiamo accolto abbracciando la pseudo-virtù dell’ottimismo cieco.
Abbiamo demolito cultura e conoscenza per preferire i paradisi artificiali tecnologici grazie ai quali non esiste più differenza di valore tra uomini sempre più tendenti al nulla. E nel caos delle nostre teste vuote abbiamo dimenticato quello che la guerra ha fatto a noi. Ma la guerra è arrivata anche da noi la settimana scorsa quando i nostri ragazzini che a Pisa marciavano per la Pace hanno incontrato lo Spirito della Guerra. Quello spirito che dà il diritto di colpire altri uomini, obbedendo a ordini ai quali si affida la coscienza. Sappiamo che i nostri figli non verranno risparmiati, che è solo l’inizio, che ci dovremo abituare altrimenti verremo colpiti. Prima è toccato ai bambini iracheni, afghani, siriani, curdi, ucraini, palestinesi. Era inevitabile che prima o poi toccasse ai nostri. Era inevitabile che i fuochi appiccati in tutto il mondo arrivassero a bruciare anche il nostro giardino. La guerra è arrivata anche qui a chiedere il sangue dei nostri bambini. Quelli che abbiamo tenuto al sicuro con mille normative, casco, borraccia in alluminio, seggiolone in auto, cinture di sicurezza, Haccp, mense scolastiche, insegnamento inclusivo, ambientalismo, marchi Cee, banchi a rotelle. A cosa è servito? Tutto cancellato. Il futuro è Gaza, il futuro è Dresda, il futuro è Zaporizha. Il futuro è una strada deserta pattugliata da uomini in mimetica e cecchini che sparano ai passanti. Questo è il futuro se non ci svegliamo. Possiamo veramente tacere e nascondere la testa mentre tutto il mondo prende fuoco? Possiamo veramente tacere e girarci dall’altra parte senza essere anche noi colpevoli di quello che succede? Possiamo veramente continuare a distogliere lo sguardo da Ucraina e Gaza pensando di essere ancora uomini? Crediamo ancora in qualcosa? Crediamo ancora nella pace? Possiamo tornare in pace? Crediamo ancora nel nostro diritto di non dover scappare dalle bombe? La guerra è arrivata! Cosa possiamo fare per fermarla? Questo dobbiamo chiederci. La vogliamo fermare? Non la possiamo fermare se non crediamo che esista il bene. E il bene è diverso da quello che ci tiene tutti schiavi in questo porco mondo globalizzato. Del bene si parla raramente, soprattutto in tv. Perché chi sta bene non consuma. Ma il bene ci insegna che l’ottimismo funziona solo se si rimboccano le maniche. La civiltà non si crea e non si conserva da sé. Vogliamo la pace? Costruiamola. Facciamo prima Pace con noi stessi, con la nostra Storia e con la nostra cultura, senza sensi di colpa e riappropriamoci della vita pubblica perché potremmo essere ancora in tempo per costruire un’Europa degna di essere unita.