Ah, se fosse tutto Rossa e fiori. È forse – chissà – la speranza più ricorrente in questi giorni per John Elkann, amministratore delegato di Stellantis, a cui solo i dati economici di Ferrari danno un po’di serenità ultimamente. Non lo fanno certo quelli sportivi, data la stagione sino ad ora scialba della coppia Hamilton-Leclerc e mortificata dal matrimonio mai consumato proprio con sir Lewis, che sul Cavallino sembra sede scomodo e intristito oltre che perdente. E allora sì che, tra gli indici sofferenti di Borsa, diventa necessario affidarsi al guru del momento, Benedetto Vigna, che dal suo “ashram” di Maranello continua a inforcare ottimi risultati. Da inizio anno Ferrari ha migliorato ancora i numeri rispetto al 2024. Corrono i ricavi netti pari a 1,79 miliardi di euro, il 13 per cento in più dell’anno precedente; sono 3.593 le consegne totali (+1 per cento), mentre l’utile netto sale a 412 milioni (+17) e l’utile operativo a 542 milioni (+22,7 per cento). Vigna sembra aver ammansito anche i dazi di Trump, che pare non abbiano causato contraccolpi significativi così come il calo delle vendite sul mercato Cinese: “Non abbiamo avuto effetti nei primi tre mesi sulle consegne e sugli ordini negli Stati Uniti – racconta Vigna – sono stato a Miami pochi giorni fa e parlando con i clienti e i concessionari non ho avvertito preoccupazione al momento. Ha pagato la nostra strategia commerciale chiara e trasparente”. Insieme all’aumento dei prezzi annunciato poco prima dell’entrata in vigore dei dazi al 25 per cento cannoneggiati da Washington. E, come una doccia di champagne da fine corsa, a Piazza Affari il titolo chiude in crescita dell’1,6 per cento. L’ottimismo solitario che aleggia a Maranello è già proiettato sui mesi a venire, durante i quali verrà svelata – per step – la prima Ferrari elettrica: “Un capolavoro tecnologico”, fa sapere l’amministratore delegato. La prima puntata sarà il 9 ottobre, in occasione del Capital markets day, dove verrò svelato il cuore tecnologico del veicolo. Poi, a inizio 2026, sarò la volta di interni e design. La livrea, infine, a marzo, circa sette mesi prima delle prime consegne previste.

Ma sotto la vernice rossa con cui Elkann ricoprirebbe ogni cosa c’è il gigante in sofferenza, Stellantis. Nei primi tre mesi dell’anno i ricavi netti del gruppo sono scesi del 14 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, attestandosi a 35,8 miliardi di euro. Le consegne consolidate hanno registrato un calo del 9 per cento, totalizzando 1,217 milioni di unità. I dazi hanno pesato molto, soprattutto per gli stabilimenti in Messico, Canada e Stati Uniti, costretti allo stop temporaneo e ai licenziamenti. Specchio di un mercato europeo dell’automotive che sembra non saper dove sbattere la testa, e in cui sembra impossibile far convivere l’infrastruttura normativa che dovrebbe accompagnare verso la transizione con la necessità di proteggere il mercato interno e la produzione dall’assalto di altri player. I numeri attuali presentano uno scenario impietoso, ma nonostante ciò l’ “agitazione da salotto” che Elkann – insieme all’ad di Renault Luca de Meo – ha concertato con un’intervista pubblicata su Le Figaro e ripresa poi da tutti giornali, in cui in fin dei conti suona la sveglia per l’Unione europea, non rende Stellantis esente da colpe. E non ce la fa nemmeno lo studio condotto dalla Luiss Guido Carli e pubblicato – guarda un po’ sulla Stampa – in cui si tiene a sottolineare come Fiat prima e Stellantis poi abbiano “creato valore” per l’Italia: “Stellantis ha fornito un contributo notevole all’economia italiana in termini di occupati, salari, valore aggiunto, impegno nella ricerca e sviluppo, investimenti e bilancio dello Stato”. Si parla di un valore complessivo della produzione italiana pari a 1700 miliardi di euro. 38,9 miliardi di stipendi pagati. Tutto questo a fronte di “sussidi modesti e calanti”, sottolinea lo studio. Insomma, a Torino urgeva sottolineare – partendo da dati economici del 2004, che oggi equivalgono ad anni luce addietro – che la famiglia Elkann qualcosa di buono l’ha anche fatto, perché evidentemente a Mirafiori, Melfi, Cassino, dove la produzione è stata falciata, faticano a ricordarselo.
