Dov’è Frank Mascia? Se lo domandano tutti in Piazza Oberdan, affollata di bandiere di tricolori che sventolano. In molti se la sono portata da casa, e sono quelli che se la sono avvolta come mantello al collo, oppure che la sventolano in aria. Quelle fornite da chi ha radunato la piazza sono appena una trentina e sono delle piccole bandierine grosse come il palmo di una mano tenute su da un piccolo stuzzicadenti. Tra queste ne spunta anche qualcuna di Israele. È il 18 ottobre e il movimento delle bandiere fondato da Azzurra Noemi Barbuto si è dato appuntamento in piazza Oberdan a Milano con i Patrioti Italiani, creazione di Franco Masciandano, ex pugile, ricercatore biomedico e imprenditore nel campo dell’ortofrutta di Settimo Torinese a tutti noto come Frank Mascia. Alcuni di dicono delusi da come è stato organizzato il raduno, impossibile radunare una piazza decente in appena quattro giorni, eppure Noemi Barbuto avrebbe insistito proprio per quella data. Anche Mascia, sul suo profilo, quattro giorni fa ha postato una foto in cui rivelava finalmente la data dell’appuntamento, al quale si sono presentate appena cento persone. Proprio il 18 ottobre al Teatro Alla Scala si tengono per altro gli Stati Generali della Cultura. Una coincidenza? Probabilmente sì. Nell’aria pirica del dì di festa, giù nelle strade non riecheggiano le risatine alla gaff di Ignazio La Russa – come si legge dalle agenzie – che nel citare l’ex ministro San Giuliano, si è confuso e lo ha chiamato San Gennaro. Alessandro Giuli pure forse avrà sogghignato, in molti avranno riso, in smoking o in giacca e cravatta seduti accanto ad Attilio Fontana, anche lui in grande spolvero per il bell’evento tra gli stucchi dorati del grande teatro. Ma in Piazza Oberdan c’è un gran via vai di gente distratta da altri pensieri.
Prima parla Barbuto del suo movimento. Si dice “stanca di vedere bandiere palestinesi sventolare per l’Italia”, per questo ha deciso di contrapporvi il Tricolore. Poi è il tempo di due influencer legati alla galassia politica trumpiana. Il primo, Joey Mannarino, sul suo Instagram da 326mila followers vanta una foto insieme a Donald Trump ed è uno stratega politico vicino al movimento Remigration del presidente Usa, vice presidente della società Ad Victoriam con sede a Roma, dove possiede una casa, ci dice, nel quartiere Flaminio. Si trova qui a Milano un po’ per caso, contattato all’ultimo da Ada Lluch, sedicente influencer spagnola che poco tempo fa, figurava in un reel insieme con Lorenzo Caccialupi, il nostro simpatico romano in America divenuto celebre ai più per avere rivolto qualche domanda in inglese romanaccio a Charlie Kirk e che ad oggi continua determinato a fare video in cui parla in inglese di remigrazione in Italia. Frank Mascia, la rockstar del momento, però, non c’è ancora e tutti si chiedono quando arriverà. Masciandano, tra le varie interviste rilasciate sul web, spiega che per entrare nei Patrioti italiani è necessario intraprendere un mese di prova e poi seguire un addestramento alle arti da combattimento, perché ogni patriota che si rispetti deve sapersi difendere. Mascia è ormai da qualche mese a capo della sezione giovani del movimento di Stefano Bandecchi, che, nel frattempo ha lanciato Mariarosa Boccia per le regionali in Campania. Ma questo è un altro discorso. Tutti si chiedono dove si trovi il capo dei Patrioti, ma nessuno si domanda veramente chi sia, perché nessuno lo sa fino in fondo.
Sappiamo che proviene da Settimo Torinese, cittadina simbolo del difficile hinterland di Torino, capoluogo che a differenza di Milano, ragiona a livello urbanistico ancora secondo una mentalità ottocentesca e prettamente francese. Quella della banlieue e della segregazione razziale, dove c’è una sola linea della metropolitana e la periferia oltre ad essere ferita a morte dalla chiusura degli stabilimenti ex Fiat è malamente interconnessa con il piccolo centro alto borghese. Al di fuori un mare magnum di etnie e lingue diverse, dove è l’italiano ad essere un’eccezione. Nell’attesa Joey Mannarino e Ada Lluch parlano del fatto che, chi si sente “più arabo che italiano deve andarsene dall’Italia”. Mannarino racconta alla folla che, una volta arrivato in stazione Centrale credeva di essere arrivato “in Somalia” e che la parola d’ordine d’ora in poi dev’essere “remigrazione”. Un eclettico signore poi ad un tratto gli ruba il microfono e urla alla piazza che del “loro petrolio” non gliene “frega un c**o, perché il nostro petrolio è l’arte”. Sullo sfondo, in disparte rispetto alla folla, c’è un signore pelato, cieco da un occhio, su di una sedia a rotelle. Ha una mascherina della polizia di stato sul viso e un pappagallo verde e giallo in una gabbia fissata ad uno dei due braccioli. È Francesco, ex agente del controspionaggio italiano rimasto ferito nel 2013 in Iraq per essere finito su di una mina anticarro. Il pappagallo gliel’ha donato Vittorio Feltri due anni fa, quando quello che aveva prima - affidatogli dal collega e amico Antonio Colazzo deceduto in un attentato in Afghanistan - spirò. Per ragioni di sicurezza non può rivelare il suo cognome, e mentre chiacchieriamo, sullo sfondo fa la sua apparizione Mascia, in felpa nera dell’adidas e occhiali da sole da clubber. È pelato, di stazza imponente con un bel paio d’occhi di ghiaccio ed effettivamente si può notare in lui una certa somiglianza con Johnny Sins. È il suo momento e prende la parola. “Purtroppo” non si possono “fare le ronde” e quindi si può parlare solamente di “passeggiate della sicurezza”. “Necessarie perché le forze dell’ordine hanno le mani legate”. E dunque “sleghiamo le mani alle forze dell’ordine, perché non si può più lasciar andare per strada una donna o una figlia senza essere preoccupati per lei”. La folla approva “mandiamoli a casa”. Mascia raccoglie l’assist e fa una proposta “abbiamo migliaia di caserme in stato di degrado, di abbandono. Perché non le riqualifichiamo per farne delle carceri temporanee, così ci sbattiamo dentro sta m**a? Ho capito che dovevo fondare i patrioti italiani quando ho cacciato via a calci in culo gli spacciatori dal parco sotto casa mia”.

Il comizio continua per poi spegnersi, la folla lo acclama, in estasi. In conclusione parte un bell’inno d’Italia. Tutti cantano. Applausi. La giornata sembra finita, ma allontanandosi dalla gente ancora raccolta attorno a Mascia, ad un certo punto, dall’altra parte della strada, verso via Melzo compare qualche bandiera palestinese fra le mani di alcuni studenti, forse appartenenti a qualche centro sociale, o comunque, contestatori della piazza dei Patrioti. Iniziano a cantare “Bella Ciao” con il pugno chiuso alzato, dall’altro lato i patrioti si attivano e avanzano verso le bandiere palestinesi urlando insulti vari “amm**e, comunisti di m**a ecc. ecc.”. L’uscita della metro Porta Venezia fa da barriera naturale e i patrioti si fermano sulla balaustra sventolando il Tricolore. In mezzo alla strada i poliziotti in tenuta anti sommossa indossano il casco e si schierano in un cordone di contenimento. Nel frattempo dalla folla dei Patrioti parte un coro. “Duce-Duce-Duce” e si notano un bel po’ di braccia tese nel saluto romano. Frank Mascia interviene, si porta nelle prime file e parla ai suoi. “Non cediamo alle provocazioni, altrimenti facciamo il loro gioco”. E mentre in strada da un lato svetta il pugno chiuso e dall’altra il braccio teso, ricordiamo ancora una volta che nel frattempo si svolgono indisturbati gli Stati Generali della cultura, tra gli stucchi dorati del Teatro alla Scala. Al centro dei due schieramenti c’è un signore sulla sessantina. È quasi pelato, i capelli bianchi che gli rimangono sono un po’ spettinati e raccolti dietro. Ha i basettoni e gli occhi azzurri stropicciati da un sorriso sornione. Osserva con sguardo incuriosito e deluso, pieno di stupore, divertito, ma anche un po’ malinconico. Tiene per mano la sua regina, che dallo stile pare una diva degli anni settanta. Si chiama Piero ed è il re del Movimento Universale, formalmente definito “Comitato Nazionale di Liberazione Italia”. Piero spiega che il suo movimento fa “un ragionamento di unità nazionale del dissenso. Il rosso non conosce il verde e il giallo sta in mezzo a fare il pappagallo. Abbiamo un’Italia completamente sfaldata, polverizzata. Come andare d’accordo senza un’unità? Questa è la fotografia dell’Italia”. Piero in sostanza propone una cosa molto semplice e lo fa con un sorriso fanciullesco da bambino: l’unità della destra e della sinistra contro tutto il resto. Cosa sia il resto non è importante e forse, ha ragione lui. Nel frattempo, sullo sfondo i Patrioti in coro intonano “chi non salta comunista è”. Sul volantino che ci lascia Piero son scritte le proposte del movimento. Eliminare totalmente tutti i vertici e i partiti e punire tutti i negligenti. Garantire dignità al popolo con un governo formato solo di cittadini provenienti dal popolo onesto, saggio e onorevole. Tutto questo per uno stato neutrale confederale no-Nato, sovrano anche a livello monetario, contro la guerra, no-Wef, no-Oms, no-Green Pass, no-5g. Redistribuzione, riappropriazione dei beni comuni al popolo ed equo ri-livellamento di tutte le parti sociali. È lotta pura ed è fantastico. Ci piace. Salutiamo il re del Movimento Universale e ci fermiamo a parlare con qualche patriota. Domandiamo loro perché si trovino lì e sono stupiti della domanda, dicono che è evidente che l’Italia stia andando a rotoli. Bisogna fare qualcosa. Non c’è più sicurezza. Dove faranno crescere i loro figli, in mezzo a tutto questo casino?

Continuiamo a parlare, a raccogliere opinioni, testimonianze, sono tutti operai dalle mani spesse e piene di calli, incazzati con il mondo intero, non riconoscono più l’Italia, dicono tutti che l’immigrazione è fuori controllo. E nel frattempo si concludono gli Stati Generali della Cultura, tra gli stucchi dorati del Teatro Alla Scala. Andando via viene da pensare che forse, in fin dei conti, ha ragione Piero, il re del Movimento Universale. Con quel suo sorriso sornione, una proposta politica impossibile, poetica per la sua irrealizzabilità, fantastica. Un personaggio che sembra uscito dal “pendolo di Foucault” di Umberto Eco. “Il verde non conosce il rosso e il giallo sta in mezzo a fare il pappagallo”. Mmm. A pensarci bene, in mezzo a tutta questa confusione, tra i pugni chiusi da una parte e le braccia tese dall’altra, un pappagallo giallo, nel mezzo, c’era. Andrea, il terribile pennuto parlante dell’ex agente del controspionaggio italiano,, Francesco, che guarda-caso si trovava proprio lì, in piazza Oberdan, il 18 ottobre. Coincidenze? Non credo proprio. È il Piano, e noi ci siamo finiti di mezzo, così, per gioco.
