Ferrari risponde ai dazi di Donald Trump. La casa automobilistica di Maranello, forte di un 2024 impressionante in termini di performance finanziaria – il titolo vale oggi 18 miliardi di euro, rappresentando il capitolo più remunerativo nel nutrito portafoglio di investimenti di Exor, la holding della famiglia Agnelli – ha annunciato un aumento dei prezzi fino al 10 per cento in risposta alla politica dei dazi imposta dalla Casa Bianca in Europa che dovrebbe entrare in vigore il prossimo 2 aprile: “Sulla base delle informazioni preliminari attualmente disponibili relative all’introduzione di dazi sulle importazioni di auto di provenienza Ue negli Usa”, si legge nel comunicato, “Ferrari comunica che aggiornerà la propria politica commerciale”. Una risposta frontale, dunque, alla barricata commerciale innalzata dal tycoon, che vorrebbe addirittura conquistare il redditizio mercato europeo dell’auto con l’export dei marchi statunitensi. In merito ai dazi Maranello ha precisato che le condizioni commerciali rimarranno invariate per gli ordini di tutti i modelli importati prima del D-day dei dazi, 2 aprile appunto, e per gli ordini delle tre famiglie Ferrari 296, SF90 e Roma.

Come detto, dall’altra parte dell’Atlantico la bordata fiscale inferta al settore automobilistico ha lo scopo di produrre un cambio di paradigma a livello commerciale. Secondo il Telgraph, infatti, “la decisione del presidente Trump di prendere di mira i veicoli stranieri che ogni anno invadono gli Stati Uniti deriva dalla sua rabbia per il fatto che molti meno veicoli vanno nella direzione opposta”. In effetti, guardando alla bilancia commerciale il dato sulle automobili è incontrovertibile: le case automobilistiche dell’Unione europea (Ue) spediscono negli Stati Uniti più di 700.000 veicoli all’anno, pari a un valore di 40 miliardi di euro. Al contrario, meno di 300.000 auto costruite negli Stati Uniti vengono dirette nell'Ue, per un valore di circa 10 miliardi. Ma se tassare le importazioni potrebbe effettivamente portare parte dei consumatori statunitensi a riconsiderare le loro scelte di consumo, è molto probabile che in contro-dazi applicati dall’Unione europea non penalizzino ancora di più le auto made in Usa in Europa. A questo proposito gioca un ruolo importante anche un fattore storico e culturale: se gli americani hanno sa sempre desiderato marchi iconici prodotti in Europa – dalle tedesche Mercedes e Bmw alle britanniche Jaguar e Aston Martin, fino a Ferrari e anche Fiat per le famiglie – lo stesso non vale per le auto statunitensi in Europa. In particolare per quei pezzi best-seller come i pick-up che non si adattano né al gusto né tantomeno alle strade europee. L’imperialismo motorizzato di Donald potrebbe dunque essere una gigantesca cantonata?

Se Maranello ha la forza di rispondere a tono a Trump, lo stesso non vale per il gruppo Stellantis, che continua a perdere valore e non solo. Entro la fine del mese, infatti, chiuderà lo storico stabilimento Vauxhall di Luton, nel Regno Unito, il cui fine corse era già stato annunciato a novembre. Il sito era in funzione da 120 anni e attualmente impiegava oltre mille persone nella produzione di furgoni elettrici Vauxhall e Peugeot. Il gruppo ha attribuito la decisione della chiusura dell’impianto alla Brexit e all’aumento dei costi legati alla transizione verso i veicoli elettrici e alle nuove normative sulle vendite di auto elettriche nel Regno Unito.
