Tra i cibi più controversi in questo ultimo decennio c'è il formaggio, dal greco phormos, la cesta in cui la cagliata continuava la sua trasformazione prendendone appunto la forma. "Il derivato del latte intero, parzialmente o totalmente scremato o dalla crema di latte mediante un processo di coagulazione acida o dovuta ad aggiunta di caglio", dal punto di vista legislativo italiano - conosciuto ovunque (anche in Cina ormai ne mangiano) senza il quale niente fila e fonde, fa parte della cucina del mondo intero sin dal secondo millennio a.C con i Sumeri della famigerata Mesopotamia che tentavano di inculcarci alle scuole medie senza successo. Nel mondo intero spicca il Bel Paese, che in quanto a cultura casearia se la gioca con la Francia e ne esce vittorioso. Chi di noi non ha mai goduto come un riccio nel suggere con golosa voluttà una parmigiana di melanzane nel suo sugo olioso profumato di basilico e grondante di filante mozzarella? E chi è lo scellerato che rifiuta una margherita dai bordi alti intrisa di pomodoro fresco, origano e abbondante bufala? Ma potremmo esagerare pensando ad un risotto con il Castelmagno, miracolo piemontese, o ad una corposa e nutriente polenta concia in una splendida giornata sulle Dolomiti a base di Toma e Fontina. Le occasioni sono infinite quanto i formaggi dal mondo e se in passato nessuno si poneva il problema dei vari ‘macronutrienti’ presenti nel cibo da ingerire ma grasso che colava era trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ultimamente si tende a passare al setaccio la lista della spesa additando come nemici la caseina, i grassi saturi, le calorie in nome dell'aspetto fisico e prediligendo vagonate di legumi pro cruelty free e del tanto agognato apporto proteico. Tutti questi legumi, che nessuno si inzifonava in tempi non sospetti, sono adesso alla base dei nostri pranzi e dei tutorial degli influencer che montano meringhe di acqua di ceci – la famigerata acqua faba – fingendo con sorrisi a 64 denti di non soffrire di flatulenza per qualche like in più. E si che se prima guardavamo solo il prezzo di cibi più o meno cari adesso molti li depenniamo a prescindere. Sono lontani i venti di guerra durante i quali mangiavamo anche i gatti – cara la pagò il povero Beppe Bigazzi per aver detto la verità alla Prova del Cuoco - invece di occuparci di veggie e calorie, ma lontani sono anche i tempi delle cene parigine davanti alla Madeleine a base di degustazioni di plateaux de fromages o le abbuffate notturne di camembert in grazia di Dio, ora che viviamo con senso di colpa persino un semplice umile fior di latte. La diatriba sul fatto che la caseina faccia più o meno male è tuttora oggetto di discussioni tra onnivori e vegani, questi ultimi acquistando in salute nutrendosi di ortaggi ma affannandosi con scarso successo nell’inventarsi qualche surrogato che somigli almeno un po’ all’originale cacio, che è tanto bono e ci sta così bene nelle lasagne di mammà. Ma non prendiamoci per i fondelli, replicare la pasta filata di una sublime mozzarella di bufala dell’Agro Pontino o di Battipaglia grazie ad impiastri di soia e margarine vegetali per condirci tristi pizzette è piuttosto frustrante, così come mantecare una onesta cacio e pepe quando il cacio è composto da anacardi in ammollo e lievito alimentare. Per dirla tutta, alcuna ‘mozzarisella’ sarà mai in grado di replicare la fresca, compatta consistenza della mozzarella, il formaggio iconico a pasta filata nobilitata da Eduardo De Filippo in Miseria e nobiltà, che "deve fare la goccia", secondo solo a quel capolavoro italiano rispondente al nome di Parmigiano Reggiano, che tutto il globo ci invidia. Potremmo stilare una lista di formaggi italiani che non basterebbe un foglio intero, visto che in tutto ne annoveriamo 2.500 varietà, di cui oltre 300 sono riconosciuti di origine protetta Dop, Pat e Igp e tra questi 52 sono protetti a livello europeo; ognuno rappresenta la regione dalla quale fieramente proviene e il panino che potrebbe nobilitare con la sua preziosa, paradisiaca presenza. Certo è che rinunciarci è da eroi e tranne che per motivi di colesterolo, di cui il formaggio ahimé è ricco, escluderlo per vezzo è da incoscienti. E su questo in molti siamo d’accordo. Dalla fontina aostana nei pizzoccheri al bitto, passando per il gorgonzola – menzione speciale per chi invece che nel risotto lo mangia a cucchiaiate – l’Asiago, lo stracchino, il branzi, fino all’emiliano squacquerone, a Sua Maestà il Parmigiano e ai pecorini marchigiani e romani e poi giù, fino all’amato caciocavallo, al provolone e alla ricotta di bufala campana per ricce sfogliatelle,il cacio ricotta per innevare gloriose orecchiette, fino al silano, al ragusano e al dolce sardo della fiera Isola Ichnusa, a forma di sandalo. Un vero patrimonio inestimabile versatile e pregiato. Se parecchi fortunati tra noi hanno vissuto quegli anni naif nei quali si apriva il frigorifero ingenuamente agguantando latticini a caso con fare spensierato, sapranno di cosa parliamo, mentre per gli altri tardivi tapini, costretti a rinunciarvi per infondati timori di morire male, peggio per loro. Certo è che il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, deve essere per forza uno di noi, visto che tra le sue preoccupazioni giornaliere, dopo la Legge Massari, ha proposto l’obbligatorietà del formaggio tra i piatti dei ristoranti italiani, salvo poi ritrattare e venir sbeffeggiato da tutto il web. Il ministro aveva già dato prova di ammirazione verso i francesi, che fedeli al loro carattere nazionalista e di primi della classe – al contrario di noi - da tempo già premiavano gli artigiani maestri della loro cucina d’autore e i loro vini pregiati; ora è evidente che Lollo vorrebbe non sfigurare, dato che in tema di formaggi non siamo inferiori a nessuno, anzi. E così, condividendo l’orgoglio del ministro per essere i fautori del miglior formaggio nonché i vincitori della sfida con i cugini d’Oltralpe per numero di prodotti caseari, canteremo l’ode al formaggio assistendo alla stipula del protocollo d’intesa testè firmato da Afidop e Fipe, che ne sancisce caratteristiche e linee guide per una opportuna valorizzazione e tutela. Nel vademecum presentato al Cibus di Parma a proposito dei 21 formaggi attualmente scelti e annoverati, dice Lollobrigida, verranno indicati la corretta denominazione, le caratteristiche e le modalità di conservazione, in consigli di impiattamento e le proprietà organolettiche. Abbiamo interpellato lo chef Luca Vissani, figlio di Gianfranco, e Valentina De Matteis, esperta di formaggi vegani, per avere un parere in merito. Ecco cosa ci hanno risposto.
Ecco cosa ne pensa chaf Luca Vissani della proposta del ministro dell'Agricoltura di dare maggior rilevanza ai nostri formaggi nazionali: "Vista la grande varietà e qualità di formaggi che l’Italia possiede nel mondo, penso che Lollobrigida abbia ragione. Quando io e mio padre siamo partiti nel 1980 già avevamo nella nostra carta quattro piatti dedicati a grandi formaggi. In Italia si conoscono i più noti, il Parmigiano, il Grana padano, ma abbiamo tanti tipi di formaggio, dalla burrata, alla mozzarella di Andria di mucca, quella di bufala, il pecorino umbro, quello romano, lo strachitunt dop, che è il nonno del gorgonzola fatto nelle valli del Val Taleggio, il branzi, il raschera alle vinacce di Barolo, il bettelmat d’alpeggio dell’Ossola superiore, l’asiago il vezelay, tutte eccellenze italiane. Il ministro ha ragione a dare maggior valore al massimo i nostri territori e di certo sulla scia dei francesi desidera valorizzare gli ori della nostra terra e tutto il Made in Italy. Io penso che sia nostro dovere spingere il nostro brand che è il più copiato al mondo a livello alimentare. Naturalmente non dimentichiamoci del ragusano, il maiocchino, formaggi siciliani meravigliosi, il canestrato pugliese, il pecorino sardo, di grandissimo livello e la varietà immensa dei caprini. Abbiamo anche dei caprini a pasta morbida intensa che sono meravigliosi. Ho fatto una piccola panoramica, ma è difficile poterle raccontare perché sono tantissime. Un po’ come i vitigni autoctoni. L’Italia dovrebbe averne 250, cosa che nessuna nazione europea possiede. Siamo il Paese più ricco al mondo di formaggi e vitigni. L’Italia in quanto a prodotti divini è pazzesca. Colgo l’occasione per lancoare il nostro nuovo progetto che si chiamerà TerritOri, nuovo ristorante di casa Vissani appena inaugurato che valorizza le tradizioni territoriali italiane".
Non solo, perché a Parma è fresco di nascita il nuovo corso di laurea di Tecnologie e gestione dell’impresa casearia, in collaborazione con l’Università Statale di Milano e la Cattolica del Sacro Cuore e del Crea e proliferano i corsi per Maestro dell’Accademia dell’Arte. Così abbiamo chiesto anche a Valentina De Matteis, vestale dei formaggi vegani tra i più buoni d’Italia, prodotti nel suo laboratorio romano Julietta pastry and lab, come la pensa a proposito dell’annoverarsi del prodotto italiano vegan tra le eccellenze del Paese: "I formaggi vegani sono cagliati allo stesso modo dei tradizionali, come la ricotta di mandorle, che esiste in Sicilia da sempre, ma non devono per forza essere catalogati nel patrimonio italiano, sono una buona alternativa per un discorso etico animalista ma anche per chi è intollerante al latte, così comune ormai, ma senza rinunciare al gusto. È possibile fare dei formaggi ottimi inoculando delle muffe nobili cambiando semplicemente il tipo di latte". Noi li abbiamo assaggiati e effettivamente Er Borino a base di mandorle anacardi e muffa di penicillum ispirato al zola è il migliore mangiato sinora, così come Ahmbé!Bert è davvero simile all’originale francese camembert al quale siamo abituati, dotato di crosta edibile e dalla medesima pasta inimitabile. E allora ben venga il protocollo di intesa e viva i caci di tutto il mondo, ma soprattutto quelli italiani!