A Roma siamo abituati a vedere spazzolare intere mense imbandite al ristorante, con la foga tipica italica, retaggio degli insegnamenti dopoguerristi impartiti da nonni che avevano patito la fame. Chi ha qualche anno ricorda che a tavola non si sprecava nulla e lasciare cibo nel piatto “era peccato”. I più giovani vedono questa norma atavica ormai sfaldarsi tra le urla di imberbi genitori che barattano giga sui tablet in cambio di pezzi di merluzzo che i pargoli dovrebbero ingoiare. Poi cedono, entrambi, esanimi. Chi ha avuto occasione di andare negli Usa già qualche decennio fa ricorda lo stupore di sentirsi proporre al ristorante di lusso i “box”, alla fine della cena, da riempire con i resti di enormi bistecche con contorno di mais alla panna non terminate, troppo abbondanti anche per gli stomaci di poveri mediterranei terroni avvezzi a fare la scarpetta per lucidare il piatto. Con meraviglia accedevamo alla gradita opportunità di non veder sprecato tutto quel ben di Dio, del quale in Patria apprezziamo il valore in mensilità di stipendio e che in terra di consumismo gli americani cestinano con strafottente nonchalance. Da noi ancora c’era vergogna di passare per pezzenti nel chiedere i rimasugli del pasto e si dissimulava l’onta millantando la presenza del povero cane a casa che avrebbe gradito il riso agli scampi misto alle patate al forno. Ebbene, in un tempo in cui si educa l’utenza al riciclo forsennato, con il fiorire di una infinità di mercatini che ripropongono ciarpame second hand – capsule di caffè trasformate in parure, decorazioni inutili, lampadari orripilanti fatti di odiate Nespresso – e compravendite di fondi di pulciose cassapanche che transitano da un armadio ad un altro, nel nome di un ‘vintage’ impostore che vorrebbe raggranellare qualche spiccio con roba da buttare, arriva da Fratelli D’Italia la proposta di legge affinché sia obbligatorio uscire dal ristorante con il proprio pacchettino, nei nostri famigerati modesti contenitori di alluminio col coperchio di cartone, avviluppati nella busta di plastica. Già li vediamo. Dice "e non scocciare. Le scatole sono scatole!". Ci permettiamo di obiettare. Da noi a Roma il take away ha sempre rispettato quella amara allure di barbonaggio grazie a quelle confezioni mitologiche, di domopak appunto, che scolano umori e salse dal coperchio malamente incastrato e vanno a formare il laghetto nella brava busta di plastica durante il trasporto o una volta portati a casa. Nulla del ricordo delle perfette, simmetriche, smaltate boxes americane in cartone satinato a prova di scolo di qualsiasi sughetto, con l'interno in pratici comparti chiusi con tecnologici cappellotti in plastica ermetica a contenere burrose salse. Noi col domopak ci mangiamo al San Camillo come allo Stellato.
A ogni modo non è il caso di stare a filosofeggiare sulla scatola. I deputati Gatta e Barelli, in un tempo in cui il sistema sanitario procede inesorabile verso la sua triste scomparsa, creando una società d’elite che potrà accedere alle cure e una di serie b che non avrà i soldi per sopravvivere, si premura di rinforzare l’ossatura di questa che è l’inizio della nuova collettività con mentalità di precariato terzomondista, che si abituerà a tenori bassi e standard infimi, che riciclerà con gusto – almeno all'inizio – vecchi cappottacci informi e porterà a casa resti di cibo come ai tempi della borsa nera, con la scusa dell'anti spreco. A MOW eravamo curiosi di sentire il parere della ristorazione del lusso romano – storicamente abbastanza alla mano, vista la Città – per sentire come gli chef capitolini abbiano accolto la proposta dei solerti esponenti della destra, che presenteranno la legge dell’obbligatorietà della doggy bag in Senato. “Se avanza quarche cosa preferisco magnammela io”, ci riferisce Alessandro Piparo, del noto omonimo stellato romano di Corso Rinascimento. “Scriva così. D’altronde da noi le porzioni sono piccoline”. Dello stesso avviso il proprietario di All'Oro, "da noi non avanza nulla, quindi non vi è pericolo", sentenzia soave. Diverso il parere del ristorante vegano “Mater Terrae”: “Siamo vegani e quindi apprezziamo la proposta in un’ottica di ristorazione sostenibile e anti spreco”. Da Cipasso, in Via Metastasio, invece, ci fanno sapere scocciati che “loro hanno da fare e no, non rispondono”, con l’aria di chi non sa dove aggiungere coperti. Fa eco un altro tempio del lusso gastronomico romano, Il Pagliaccio: “Siamo plastic free e a favore di zero sprechi. Qualora la legge passasse la accoglieremmo con entusiasmo”. D’altronde in Francia e in Spagna il pacchettino già è consueto e secondo Fratelli D’Italia è urgente occuparsi di munire obbligatoriamente tutti gli italiani di resti di cibo da riproporre il giorno dopo. Quindi per cortesia, puliamo bene i piatti e guai a chi molla l’osso, che a casa c’è Alan l’alano che lo gradisce!