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Giovanissimi e dipendenti
dall’eroina: il nostro viaggio tra
i bambini di strada ("chicos
de la calle") in Ecuador

  • di Veronica Tomassini Veronica Tomassini

6 novembre 2023

Giovanissimi e dipendenti dall’eroina: il nostro viaggio tra i bambini di strada ("chicos de la calle") in Ecuador
Il problema della tossicodipendenza, in Ecuador, colpisce anche i più piccoli. Comprano la H, così viene chiamata l’eroina. Lisandro, Elias o Marlon: sono bambini di strada, chicos de la calle, ma pur sempre bambini. C’è ancora chi cerca di aiutarli: Jeyder Rescata è uno di quelli che è sopravvissuto e che ora prova a salvare gli altri. Li accoglie a casa sua, li veste e festeggia con loro il compleanno. Non può salvare tutti Jeyder. Qualcuno di loro muore ancora. Di fronte a tutto questo c’è un’unica domanda che sorge spontanea: E Dio?

di Veronica Tomassini Veronica Tomassini

I bambini si trastullano sulla buca della vipera. È Isaia, libro 11. I chicos de la calle, sono pur sempre bambini: quando piangono, piangono come i bambini. E il loro volto deformato dagli spasmi è una sindone. Lisandro assurge - è una ascesi - a uno strano sguardo di ardore e trapasso, mentre si agita, vomitando. Si chiama scimmia, rota, astinenza, non so come in gergo venga tradotta in Ecuador. Barrio Duran. E lui sembra una pala del Beato Angelico. Lisandro. Ha dieci anni, si fa di eroina. Siamo a Guayaquil, in una di quelle caverne di fango che paiono un sospetto di dimora, le baracche sopra il colle. Tombini divelti, polvere, urla, spray di propano sui marciapiedi. Non esistono i bambini, salvo quei feti smisurati che gesticolano seduti sulla mondezza, circondati da fuocherelli velenosi e da pipe di crack. I bambini mettono la mano nel covo del serpente: è ancora Isaia. Eppure, a Guayaquil, nelle favelas sopra il colle, ci sono solo i bambini a restituire il controcanto, una lallazione rovesciata, l’orrore dell’indulgenza ignara (i bambini) che frana sulla povertà, che cerca disperatamente una coscienza collettiva. Puoi indovinarne una qualche innocenza. L’eroina si chiama H, ha sostituito il crack, viene tagliata con la polvere di cemento, veleno per topi, anfetamine, vernice raschiata dai muri. Un dollaro al grammo. I bambini si fanno di H. Pablo, Milagros, Isaac, che viene dalla Colombia, lo smemorato. Isaac è morto, pace all’anima sua, uno di quelli salvati, che vi dirò da qui a qualche riga. In pochi mesi diventano scheletri che arrancano nel delirio, che gelano nelle notti di un barrio, umide, sporche, violente; le mani sono gelate perché la rota, l’astinenza, arriva presto. Sono simili a fili elettrici, strozzati, avvoltolati come mulinelli brucianti. Così ci sono i risorti, i riscattati. Lo sono perché è la parola d’ordine di uno squadrone, va in ricognizione con un Suv. Alla guida c’è un musicista, Jeyder Rescata, al secolo Jeyder Teràn, originario di Los Rios. Era un bambino della calle, un chico. Sopravvissuto, oggi è un influencer con 500 mila follower su Facebook, e la cieca ostinazione: Rescatar. Con lui ci sono altri ragazzi, quelli che salvano, quelli che ne escono, vanno in strada e diventano evangelisti, cercano i bambini. Nel nome di Dio, ce la puoi fare. Devono salvarli, prenderli tutti, salvarli, e certe volte li salvano. E non aspettano troppo, entrano nei barrios, li sollevano da terra, o dai materassi luridi, o nelle segrete di una fogna. Con le loro braccia ardimentose, ora ragazzoni, ora adolescenti che sembrano appena usciti da una sessione di PlayStation. E invece sono tutti sopravvissuti alla “calle”. Jeyder li porta a casa sua, oramai è un convitto ciarlante e animoso di ragazzini, vestiti e ordinati, con la torta e le candeline a ogni compleanno.

Non ci si crede nemmeno che Elias, o Marlon, quella paurosa nudità, bucherata nel corpo, sia di nuovo la luce nel mondo, del più cattivo e miserabile che ci è dato da perdonare. Lisandro si commuove per il troppo bene e le maglie pulite che indossa. Ha riempito le guance. Jeyder lo ha sollevato da terra il giorno che entrò nella favela. Lisandro stropicciò il viso, per il dolore e la paura, e allora cominciò a piangere. Il pianto biblico del bambino, una spada che si conficca ovunque, il canto di una sirena divenuta martire, insopportabile da sentire, da tapparsi le orecchie per il terrore, preferire la morte, piuttosto. Scongiurare la fine di ogni cosa per una similitudine oltre il sentimento, l’umana consolazione. E Dio? Ci domandiamo. Era il pianto di un bambino. Uguale al pianto di un bambino. Jeyder lo deve salvare. Scendono dal cielo tutte le apocalissi. Cosa sarebbero altrimenti? E Dio, ci domandiamo. E Dio sembra ancor più grande, dilatarsi sopra cielo del barrio, mentre Lisandro piange come un figlio: il bambino si trastulla sulla buca della vipera. Anche quando Isaac muore, veniva dalla Colombia, mentre sputava grumi di veleno. E Dio, ci domandiamo. E Nicole, che fumava crack. Ne era uscita, perché aveva incontrato Jeyder. Una bambina. Voleva salvare i chicos. Lo ha fatto. Era tornata in strada. Stavolta per toglierne altri. Era pulita. Nicole Montenegro. Ne era uscita, perché aveva incontrato Jeyder. Era una bambina. Voleva salvare gli altri. Lo ha fatto. È morta il 5 agosto, le hanno sparato in testa. Una piccola santa, la santa che viveva nel cantone di Babahoyo. La chica de la calle.

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