Un assedio che dura da tempo, ma che non è mai stato così pressante. Quale? Quello del Governo e della sua “galassia” contro Stellantis, ma forse anche e soprattutto contro l’azionista di riferimento, John Elkann. Ne parla in questi termini sul Foglio Stefano Cingolani, che sottolinea come a criticare le strategie del gruppo automobilistico ci siano l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni (a cominciare dal ministro del Made in Italy Adolfo Urso), ma anche “personalità di spicco nel mondo Fiat degli ultimi decenni come Luca di Montezemolo; analisti dell’industria, consulenti internazionali, insomma un ventaglio poche volte tanto vasto e diverso. […] I più protestano perché la Francia ha un ruolo privilegiato, grazie alla presenza dello stato nel capitale, sostengono che all’Italia sono rimasti solo gli strapuntini prima di essere abbandonata del tutto, lamentano che i quattrini dei contribuenti sono finiti all’estero, a Londra dove si riscuotono i profitti e ad Amsterdam dove si possono utilizzare le azioni privilegiate per comandare tanto spendendo poco”.
Cingolani sostiene che in questa campagna “verità e propaganda si mescolano a rimpianti, rancori, rimorsi per quel che poteva essere e non è stato nei primi vent’anni di questo secolo in cui la Fiat è morta, è risorta e se ne è andata altrove. Alcuni vedono in Elkann l’ultimo esponente del complotto pluto-giudaico-massonico, una sorta di nuovo Soros, colui che speculò contro la lira nel 1992, stappò champagne per il crollo della Prima Repubblica e alimentò il grande golpe contro Silvio Berlusconi. Questo loop nazional-populista cita a proprio sostegno Repubblica che il giorno dei funerali di stato a Berlusconi ha titolato in prima pagina: «Meloni, lutto e potere». È solo l’ultimo colpo in un fuoco di fila diventato più aspro con la caduta del governo Draghi”. Quindi, considerando che è anche presidente di Gedi (gruppo editoriale a cui fanno capo, tra gli altri, La Repubblica e La Stampa), Elkann sarebbe “a capo di una opposizione politica e fautore di una battaglia culturale, contro una «deriva protezionistica e autoritaria», per impedire un «orbanismo» italico? È quel che ogni giorno si legge sia sulla Repubblica sia sulla Stampa”, fa presente Il Foglio.
Ma ci sono pure motivi molto più concreti: “Stellantis è il primo gruppo industriale italiano con 86 mila dipendenti (più delle Ferrovie o di Tim) in sei stabilimenti; ha un capitale di circa 120 miliardi di euro secondo solo all’Enel, azienda pubblica, due volte e mezzo Essilor Luxottica (italo-francese). Il governo cerca alleati altrove per portare capitali e capitalisti in grado di ridimensionare l’odiato asse francese. Il viaggio a Roma giovedì scorso di Elon Musk, che a bordo di una delle sue Tesla s’è recato alla Farnesina da Antonio Tajani, poi a palazzo Chigi da Giorgia Meloni, fa sognare. Siamo insomma alle ultime stoccate in ordine di tempo nel duello secolare ingaggiato tra il più rilevante potere economico italiano e il potere politico, una puntata dell’eterna competizione tra stato e capitale”. Come dai tempi di Agnelli (senior) e Mussolini, per arrivare a Marchionne e Obama, passando per Kissinger.
Quanto al denaro pubblico, “negli anni ‘90, nonostante il ridimensionamento degli aiuti di stato deciso da Bruxelles, l’Italia ha distribuito al settore automobilistico tre miliardi 353 milioni di ecu (unità di conto europea), la Germania un miliardo e 140 milioni, la Francia appena 173 milioni. Ma la quota di mercato dell’auto italiana, ormai solo Fiat, è scesa dal 53,6 del 1978 al 34,7 del 2001, a favore delle auto tedesche e giapponesi. Se l’obiettivo era difendere l’industria nazionale, allora è stato mancato in pieno e l’idea di ripetere la stessa strategia è destinata a fare un’identica fine. Per la pandemia il gruppo Stellantis ha ricevuto 6,3 miliardi di euro restituiti con un anno di anticipo. Oggi non ha bisogno di aiuti pubblici: «Gli Stati entrano nelle imprese quando vanno male e Stellantis va molto bene», ha dichiarato Elkann. Ma allora – si chiede Cingolani – che ci fa lo stato francese? E perché l’amministratore delegato Carlos Tavares sollecita sostegni alla transizione elettrica?” La risposta arriva da Luca di Montezemolo: “Stellantis è un gruppo francese. Le decisioni vengono prese a Parigi, dove si sono recati i sindacati italiani per chiedere investimenti, da manager che non sono certo italiani. Nell’auto, di italiano non resta granché, solo Ferrari. La Lamborghini è ormai da tempo parte del gruppo Volkswagen-Porsche”. E considerando che le auto prodotte in Italia sono passate da 1,2 milioni nel 2016 alle attuali 437 mila (con il sorpasso da parte della Spagna), per l’ex presidente della Ferrari il governo dovrebbe predisporre “un ambizioso piano industriale per il settore automotive”.
Riguardo all’aumento della produzione in Italia, per Il Foglio “il governo Meloni non ha intenzione di mollare la presa, tuttavia si può pressare Stellantis per costringere Tavares a espandersi in Italia? Fino a che punto è possibile spingersi senza innescare un effetto boomerang? L’ingresso dello stato italiano, magari attraverso la Cassa depositi e prestiti, è un obiettivo annunciato da Fratelli d’Italia e accarezzato anche dalla Lega prima di vincere le elezioni e andare al governo. Un’idea che è stata respinta da Elkann in modo netto anche recentemente, vantando che Stellantis è un gruppo privato”. Insomma, lo scontro non sembra destinato a finire.