Il 2024 sarà un anno decisivo per il potere bancario in Italia. Il mandato dell'attuale presidente dell'Associazione delle Casse di Risparmio Italiane (Acri), Francesco Profumo, e del consiglio d'amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) guidato da Giovanni Gorno Tempini (presidente) e Dario Scannapieco (ad) scadrà tra aprile e maggio. In entrambi i fronti è già iniziata la battaglia per la successione. Tre partite per tre città: la presidenza dell’Acri e quella di Cdp richiama da vicino la partita per le fondazioni bancarie e si giocherà tra Milano e Torino, dove hanno sede le fondazioni più importanti. Per la precisione, da un lato Cariplo e San Paolo, centrali in un colosso finanziario come Intesa; dall’altro Crt, azionista di Unicredit (1,9%), Generali (1,61%) e Bpm (1,8%). La sfida per l’ambita poltrona di amministratore delegato di Cdp sarà sostanzialmente romana e avrà al centro la dialettica tra potere politico e potere economico. Al centro della scena, la chiave di lettura lanciata da Paolo Madron, direttore di Lettera43, ai microfoni di MOW: “Ci sono dei luoghi del potere economico-finanziario nei quali la destra non riesce a entrare. Nemmeno il milanese Berlusconi riuscì a far sua Banca Intesa, o la Fondazione Cariplo, dove passa il potere economico/culturale italiano. Figuriamoci se ci riesce la Meloni”, al bivio tra l’influenza sul mondo finanziario e la necessità di capire cosa fare di Cdp. La “Casa di Cassa”, o ancora meglio “House of Cassa”, è la grande serie a puntate su cui si snoda il romanzo della relazione economico-finanziaria tra i poteri del sistema-Paese. Attraverso le fondazioni l’economia parla ai territori, la grande finanza incontra i progetti di sviluppo sociale, culturale e intellettuale attraverso cui molto spesso, dall’housing sociale al mondo accademico, i poteri si “legittimano”. Non a caso strutturale è la connessione tra questi poteri e quello del real estate. E non finisce qui. La partita è importante perché le fondazioni e le casse di risparmio raggruppate nell'Acri sono, con quote variabili, partner del Tesoro in Cdp. Via XX Settembre controlla l’82,77% del capitale di Cdp, mentre il 15,93% appartiene con diverse percentuali alle varie fondazioni territoriali che tramite le Acri indicano il presidente. In gioco, dunque, una filiera di potere strategica. Avente, sul fronte delle casse, al centro due “grandi vecchi”.
Per la precisione, da un lato il bresciano Giovanni Bazoli, 92 anni, in passato alla guida del Banco Ambrosiano e oggi presidente emerito di Intesa San Paolo e dall’altro Giuseppe Guzzetti, 89 anni, dominus della piazza milanese, per decenni alla guida di Cariplo e della stessa Acri. A Torino è sempre più arrembante Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (Crt), guidata dal regista della nascita di Unicredit, Fabrizio Palenzona. La partita per la successione a Profumo, uscente anche alla Compagnia di San Paolo, all'Acri è aperta. Intesa San Paolo sostiene Giovanni Azzone, ex rettore del Politecnico di Milano,. Azzone è un ingegnere e manager di lungo corso, con un curriculum di rilievo nel settore privato e pubblico, già presidente di Arexpo Spa. Palenzona, con Unicredit e Crt vicine, sogna un possibile “sorpasso”. La sfida vedrà un aumento della capacità d’influenza del vincitore agli occhi del governo, con il quale si dovrà interfacciare per il futuro di Cdp. La gestione di Scannapieco, fedelissimo di Draghi, non ha sciolto fino alla fine senza l’intervento governativo nodi come quelli di Tim e Autostrade e si lascia in eredità un dubbio sul futuro del gigante che investe i risparmi postali degli italiani. In Cdp c’è chi sostiene che la Cassa dovrebbe concentrarsi sul suo ruolo di banca di investimento e di sostegno alle infrastrutture, da “Iri del terzo millennio”. Altri, invece, sostengono che la Cassa dovrebbe avere un ruolo più attivo nella promozione della finanza sostenibile e dell'economia sociale, oltre che dei settori ad esse legati, rafforzando il vincolo con le Fondazioni. Per questo fronte passa molto del vincolo d’influenza che Meloni e i suoi possono esercitare. Cdp può essere un polmone per abilitare investimenti legati al Pnrr, a piani come il Ponte sullo Stretto e le molte grandi opere che il centrodestra vuole rilanciare, alla visione industriale del Paese se ben ampliata e gestita. Ma può anche essere un’ottima cassaforte delle partecipate, Eni in primis, che garantiscono miliardi allo Stato. Entrare in Via Goito, conquistando Scannapieco al programma meloniano o puntando su nomi di “area” come fece Giuseppe Conte con Fabrizio Palermo, che da Nexi a Tim fu vicinissimo ai dossier del premier pentastellato, può voler dire confermare un radicamento nel sistema per una coalizione di governo. E sarà un banco di prova per capire come la casamatta del potere pubblico possa interfacciarsi con quella della finanza privata. E se tra Milano, Roma e Torino fondazioni, Acri e Cdp sono pronte, al di là della battaglia di potere cogente, a trovar una quadra per promuovere, congiuntamente, lo sviluppo del Paese. Sistemi di potere complementari e dinamici sanno legittimarsi. Non si devono temere. Le élite milanesi, torinesi e romane hanno l’occasione di pesarsi e capirsi, delimitando confini e operazioni, nelle battaglie dei prossimi mesi. Necessaria premessa per future campagne di coordinamento nel nome del business e dell’interesse del Paese.